The Sinner – Stagione 4: recensione della serie Netflix
Quando il detective in pensione Harry Ambrose arriva su un'isola in vacanza, un apparente suicidio sconvolge la quiete del luogo risvegliando oscuri ed inquietanti misteri
The Sinner è una serie antologica disponibile in streaming su Netflix con le prime tre stagioni: la quarta è disponibile dal 15 dicembre con dieci nuovi episodi.
La serie ha ricevuto 2 nomination alla 75ª edizione dei Golden Globe Awards: una per la Miglior Miniserie o Film per la TV e una per la miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione per Jessica Biel, la quale ha anche ricevuto una nomination agli Emmy Awards nella stessa categoria.
The Sinner 4 – Cos’è successo prima? E cosa succede adesso?
Prima stagione. Cora Tannetti, moglie e madre dalla vita apparentemente serena, un giorno, colta da un impeto di rabbia, uccide uno sconosciuto, senza motivo e con estrema ferocia. Dopo la confessione di Cora, la mancanza di un movente porta il detective Harry Ambrose a indagare su cosa sia successo nella psiche della giovane donna.
Seconda stagione. Ambrose torna nella sua città natale dopo che Julian Walker, un ragazzo di 13 anni ha confessato di aver avvelenato i suoi genitori e apprende i segreti che gli abitanti della città sono determinati a far rimanere sepolti.
Terza stagione. Ambrose inizia ad indagare su un gravissimo incidente accaduto in una cittadina non distante da New York e su l’unico sopravvissuto Jamie Burns. Durante le indagini, però, riporterà alla luce un mistero sepolto da anni.
Leggi la recensione della terza stagione di The Sinner!
Harry Ambrose, dopo un anno, è in pensione e decide di prendersi una vacanza su un’isoletta di pescatori. Ma il Male si annida anche tra gli scogli apparentemente placidi della località di provincia: una notte, preda dell’insonnia, vede una ragazza conosciuta da poco scappare spaventata fino ad un dirupo e poi gettarsi giù.
L’apparente suicidio scoperchierà misteri e inquietanti segreti,
Una detection insolita
Forse ne sentivamo tutti la mancanza, di Harry Ambrose. Anche se non lo sapevamo.
Perché il detective che ha gli occhi stanchi e acquosi di un Bill Pullman, difficilmente bravo allo stesso modo altrove, è quella parte di noi morbida e indifesa che assorbe il male che ci gira intorno e lo coltiva dentro come un tumore, sperando di alleviare la sofferenza altrui anche a costo della propria.
Jessica Biel e la prima stagione di The Sinner
Proprio Pullman, uno dei peggiori attori residuati dagli ipertrofici anni Novanta, diventa qui un personaggio scivoloso e pieno di contraddizioni splendidamente umane, con il suo sguardo perennemente traverso e il dolore trattenuto.
The Sinner in fondo gira tutto intorno a lui: anche se c’è ovviamente la trama orizzontale per ogni stagione, nella linea verticale che interseca i casi anno per anno c’è lui, c’è la sua difficoltà di sostenere gli sguardi di chi gli muore intorno, la sua impossibilità di mantenersi forte come tutti lo vorrebbero e come forse dovrebbe essere.
E se in questa quarta stagione, passata già nelle reti in chiaro e adesso in prima tv in streaming, lo ritroviamo in pensione a più di un anno di distanza dalla tragedia di Jamie Burns, la vita privata lo sta lentamente distruggendo. Ha smesso di prendere gli psicofarmaci che alleviavano i suoi dolori interiori, ma la depressione lo sta assalendo: quando un nuovo caso gli si prospetta davanti, e torna a vivere. Perché paradossalmente solo in questo scambio osmotico, perverso, vitale, con il Male, Harry si sente vivo: solo la sofferenza altrui allevia la sua.
Una storia dai contorni psicoanalitici
La sigla di The Sinner la dice lunga: una serie di flash con immagini di Rorschach introducono la storia di una serie che è sì di detection, ma che punta sull’analisi psichiatrica dell’assassino e della sua controparte, proprio Ambrose.
L’approccio al delitto, apologetico e analitico, è certo figlio della cultura europea da cui deriva l’autrice del romanzo originario da cui hanno tratto la prima serie (Petra Hammesfahr), ma è anche lontanissimo da tanta narrativa di genere che ingolfa la serialità televisiva costruita sui cliché e sulle coazioni a ripetere.
Lo show è un’indagine personale (in questa quarta stagione più evidente che mai) ed intima prima che poliziesca, in bilico perenne tra normalità e follia: anzi, è proprio un’indagine per capire se questo limite esiste, se abbiano senso le due definizioni, e dove eventualmente il limite si trovi.
La differenza tra il conscio e l’inconscio è il campo da gioco di The Sinner: un gioco di specchi tra vittima e carnefice, un continuo ribaltamento di ruoli, ma soprattutto un’indagine specifica sul concetto del peccato.
In questo, i dieci episodi di questa quarta stagione si ricollegano alla prima, forse la migliore visto che la seconda ha esondato leggermente dal campo di gioco e la terza si era ripetuta senza fremiti: anche stavolta, la serie parte dalla triangolazione di un’umanità sofferente e dolorosa, rendendo esplicito il malessere umano che viene metaforizzato dai personaggi in ogni scena.
E anche dal punto di vista tecnico e narrativo, stavolta la scrittura torna ad essere impeccabile: l’indagine sembra partire scontata e invece diventa lentamente un gioco di scatole cinesi, nelle quali lo spettatore rimane ineluttabilmente incastrato e intrappolato.
Probabilmente, perché lo showrunner Derek Simonds ha un’inventiva che sabota l’intero genere, consapevolmente o meno, rivoluzionando la caccia al colpevole e invischiando lo spettatore fin dall’inizio in un’atmosfera malmostosa e torbida.