The Son – Il figlio: recensione finale della serie western con Pierce Brosnan

The Son - Il figlio è una serie senza baricentro, spezzata a metà da flashback e una scarsa introspezione dei personaggi. 

Su Sky Atlantic è giunta a conclusione la prima stagione di The Son – Il figlio, la serie western con Pierce Brosnan targata AMC. Il pilot aveva presentato una storia con un discreto potenziale e, purtroppo, una serie di lacune e incertezze che si sono prolungate per tutta la stagione. Un potenziale, quindi, che non viene mai espresso, rimane latente dietro la scenografia. Ne avvertiamo la presenza, come un cavallo che scalpita sul terreno per poter essere lasciato libero. Invece Philipp Meyer, Lee Shipman e Brian McGreevy (ideatori della serie) tengano quella furia selvaggia rinchiusa in un capanno. Ed è così che The Son perde la propria scommessa, rimanendo incatenata ad un dramma familiare mai veramente espresso. Ogni episodio ci appare fin troppo dispersivo, mai focalizzato sull’anima dei personaggi, di cui non avremo mai una piena comprensione.

The Son si discosta ampiamente da quei prodotti di cui ne ha imitato l’impronta. Parliamo di Yellowstone, Deadwood e Sons of Anarchy. Il parallelismo con Il Petroliere (figlio del marketing) non può neanche esser preso in considerazione, vista la distanza tra la serie e il film di Paul Thomas Anderson. Questo in virtù del fatto che l’avidità umana e quella sfrenata corsa al petrolio non vengono mai mostrate, se non nelle prime due puntate. Troppi gli errori in fase di scrittura, come la scelta del cast. Brosnan fa il suo lavoro, ma non spicca mai per acume e ferocia, cosa che il suo personaggio richiede. Il resto della famiglia McCullough sono fantasmi senza profondità, come il fastidiosissimo Peter di Henry Garrett. La frontiera, il sangue, la sete di conquista, tutti quegli elementi annunciati non vengono mai espressi, mancando in pieno il fulcro del racconto.

The Son – Il figlio e un racconto spezzato dai flashback

The Son - Cinematographe.it

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Dopo i primi due episodi introduttivi, ci saremmo aspettati un’escalation di violenza, sparatorie a cavallo, tradimenti e colpi di scena. Non succede niente di tutto ciò, o almeno non come lo avevamo immaginato. I flashback del passato Comanche di Eli spezzano la narrazione a più riprese, senza mai coinvolgerci appieno. Anzi, la storia segue un percorso già tracciato, visto a più riprese in altri prodotti di genere. The Son non aggiunge niente all’immaginario collettivo, rimane bloccato ad uno standard di cui il panorama è saturo. Così facendo, i flashback tolgono a tempo e spazio alla storia nel presente di prendere forma. Non riusciamo a immedesimarci nei personaggi, nei loro sentimenti e aspirazioni, a tal punto da risultarci noiosi e antipatici. Parliamo del già citato Peter e di sua moglie Sally (Jess Weixler). Di tutt’altra pasta sono Phineas McCullough (David Wilson Barnes) e il Niles Gilbert di James Parks. Questi due personaggi, anche se i brevi scene, hanno la capacità di catturare l’attenzione, peccato che la serie non gli dà mai abbastanza spazio per evolversi. Tra i nativi americani del passato di Eli troviamo il sempre in forma Zahn McClarnon, che veste i panni di Toshaway. Il suo è un capo tribù paziente e calcolatore, una figura paterna per il giovane Eli, ribattezzato dai Comanche Tiehteti Taiboo, “Patetico ragazzo bianco”.

Al di là di qualche elemento interessante, The Son vive di piccole dispute familiari, quasi tutte all’interno della magione dei McCullough. Una piatta narrazione sembra quasi esplodere verso il finale, ma la miccia di spegne facilmente, come un petardo che fa cilecca a Capodanno. La struttura della serie è infatti molto strana, per otto episodio abbiamo quello che sembra essere un unico primo atto, per poi arrivare al punto di rottura che coincide anche con il finale negli ultimi due episodi. Gli stunt e le sparatorie alla casa dei Garcia sembrano provenire da un filmato amatoriale. I corpi si dimenano come in preda a convulsioni quando vengono colpiti dai proiettili, altri fanno capriole all’indietro neanche fossero acrobati al Circo Orfei. Neanche a dirlo, la sequenza di scene è a dir poco comica, e spazza via ogni tipo di credibilità della serie. Per non parlare dell’atteggiamento di Peter, sempre più sconnesso e senza senso. Ma più di ogni altra cosa è il protagonista a deluderci fino alla fine. Il patriarca violento e calcolatore, un uomo spinto solo dall’avidità e dal proprio ego, finisce per essere un agnellino con una barba curata. Eli McCullough (quello adulto) è il personaggio meno valorizzato di The Son, quello che in realtà avrebbe dovuto muovere tutta l’azione e concentrare l’attenzione dello spettatore.

Il west non è mai stato così pulito

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Il world building di The Son sembra fermarsi a Houston, a qualche prateria e niente più. Tutta la frontiera americana, l’allevamento di bestiame e la corsa all’oro nero vengono perennemente lasciate in disparte. Salvo qualche avvenimento, fin troppo repentino, con i dissidenti messicani e la lotta dei nativi contro la “cattiva magia” dell’uomo bianco (il vaiolo), la serie non ci dice molto altro. Fa eccezione la sequenza iniziale del quinto episodio, dove assistiamo alla mercificazione della morte attraverso le foto dei messicani morti per conto degli uomini di Niles Gilbert. Sono immagini forti e ben montate, forse le più interessanti di tutta la serie, e ci inoltrano nel vero Texas del 1915. Detto ciò, The Son sembra essere un prodotto realizzato con lo stampino, quello della AMC. Fotografia, regia e montaggio sono un marchio di fabbrica, non dissimile da quello di The Walking Dead. Eppure, se la serie zombie ne ha fatto un tratto distintivo, il western di Philipp Meyer sembra patirne le conseguenze. Quasi mai assistiamo a un primo piano, a sguardi bruciati dal sole, sporchi di sangue e terra. I personaggi sono lindi e pinti, come abiti appena usciti dalla lavanderia; il west non è mai stato così pulito come in The Son.

Ovvio è che ci troviamo agli inizi del ‘900, ma i protagonisti sono pur sempre mandriani. Inoltre, il lato criminale della famiglia McCullough non viene mai veramente rappresentato. Sappiamo che ai tempi d’oro Eli era un uomo senza scrupoli, capace di sterminare una tribù indiana e costruire la propria casa su un cimitero di ossa e sangue. Ma è un passato solo accennato, che non trova mai rappresentazione sullo schermo. l’unico momento in cui ciò avviene è nel finale, quando il personaggio mostra la sua vera faccia aizzando la folla contro la famiglia Garcia. Eppure è una scelta presa per via delle azioni di Phineas, e non per sua piena iniziativa. Insomma, The Son è una serie fin troppo trascurata, di cui non è stato limato nessun dettaglio. Uscita nel 2017 negli Stati Uniti, la prima stagione arriva a noi con quattro anni di distanza. La seconda stagione è stata invece trasmessa nel 2019, e da noi è ancora inedita. Possiamo ipotizzare una sua uscita entro la fine del prossimo anno, sperando in un’evoluzione, qualitativa e quantitativa, di una serie con un alto potenziale mai espresso.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3