The Sound of Magic: recensione della miniserie Netflix
Forse la magia esiste davvero, ma guardando The Sound of Magic sembra non arrivarci.
Forse la magia esiste, la vera magia, ma il suo incanto meraviglioso non può che durare attimi, attimi intensi di felicità capaci di lasciare il loro vivo ricordo e far desiderare che ritornino sempre. Lampi che The Sound of Magic, la serie coreana diretta da Kim Sung-youn che mescola fantasy, musical e drama, prova a ricreare sfoderando una suggestiva scenografia e qualche semplice trucchetto: farfalle blu portatrici di desideri, luci e colori sgargianti, neve a primavera, visi che sembrano di bambole di porcellana, ma soprattutto portando in scena una favola magica in cui al posto del principe c’è un maliardo dal fascino coreano con la “sindrome di Peter Pan” interpretato dall’attore Ji Chang-wook e nelle vesti di Cenerentola una disincantata liceale costretta a crescere in fretta. La prima stagione della serie tv, con i suoi sei episodi, è disponibile per la visione su Netflix dal 6 maggio 2022.
The Sound of Magic: il protagonista è un personaggio a metà fra Edward mani di forbice e Peter Pan
La scena introduttiva alla prima stagione di The Sound of Magic mette in moto il pilot con un pettegolezzo: nel luna park chiuso da tempo che si trova sopra la collina vive un mago molto affascinante, ma anche fuori di testa. Si dice anche che le sue magie, come quella della sparizione e della donna tagliata a metà, siano vere e che prima di iniziare ogni trucco chieda ai malcapitati se credono nella magia. Si prova quindi ad agganciare l’interesse di chi guarda con il fascino degli enigmi, il gusto dell’irrisolto e l’ipotesi da confutare innestando nel suo contesto il protagonista di questa favola drammatica, Lee Eul ( Ji Chang-wook), un misterioso e solitario giovane mago con cilindro e mantello che vive in un luna park abbandonato. Lee ha dalla sua parte le doti magiche, ma ha bisogno di qualcuno che creda in lui e nella sua magia. É un personaggio a metà fra Edward mani di forbice (come Edward cerca qualcuno che creda in lui, fa nevicare e a un certo punto viene inseguito dalla polizia ) e Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere. Lee alleggerisce la situazione dolorosa e accende la speranza della povera Yoon Ah-yi ( Choi Sung-eun): un’adolescente che frequenta il secondo anno di liceo, che vive con la sua sorellina e non ha nessun altro ad aiutarla. Infatti il padre di Yoon Ah-yi non può tornare a casa, perché la sua azienda è in bancarotta, ed è costretto a fuggire dai creditori. Per sbarcare il lunario, Ah-yi cerca un lavoro part time, ma le cose non vanno come si aspetta. La protagonista viene salvata da Lee e da quel momento la sua vita cambia radicalmente, come per magia.
Una critica a suon di musica della società moderna e della “perfezione adulta”
Per dirla con una massima di Frida Kahlo, i due protagonisti di The Sound of Magic finiscono per guardarsi “come se fosse una magia“, peccato però che a noi non sia arrivata una gran bella musica. Ricorrendo ai classici presupposti della suggestione magica, l’opera convince per lo più nell’aspetto dell’intrattenimento scenografico e non è al livello dei prodotti coreani che spopolano. Niente da dire su un packaging che abbraccia una riflessione sull’abbandono e si muove sul terreno di una critica non troppo velata ai modelli imposti dalla società moderna, esplorando il quadro degli standard che definiscono lo status di persona adulta cui uniformarsi (studio, lavoro, riconoscimento sociale). Ma la palette di The Sound of Magic contiene anche le tetre e tristi sfumature di uno spirito infantile libero e ricolmo di magia che si scontra con una “perfezione adulta” che ha il sapore di una trappola. Una magia rappresentata senza sosta e il ritmo troppo lento della narrazione contribuiscono a trasferire pesantemente la percezione drammatica sullo spettatore che vorrebbe abbandonare la visione dopo appena venti minuti.