The Strain 4: recensione finale della serie prodotta da Guillermo Del Toro
Con The Last Stand si conclude il viaggio della serie creata e prodotta dal regista de Il Labirinto del Fauno e Crimson Peak.
È raro trovare, volgendo lo sguardo agli ultimi anni, serie tv che si auto-concludono dopo poche stagioni. The Strain è una delle poche eccezioni nel vasto mondo della serialità attuale. La serie prodotta dal regista pluripremiato Guillermo Del Toro ha infatti concluso la sua corsa dopo quattro intense stagioni. Il regista iniziò a pensare a The Strain già nel 2006, ma a causa di divergenze creative con la FOX il progetto venne ben presto accantonato. Anni dopo, in collaborazione con Chuck Hogan, Guillermo Del Toro scrisse una trilogia letteraria pubblicata anche in Italia con i titoli La Progenie (The Strain), La Caduta (The Fall) e Notte Eterna (Night Eternal).
The Strain: la serie che ha reinventato il personaggio del classico vampiro
Questa ultima stagione ha chiuso il cerchio e posto fine alla minaccia degli Strigoi, i nuovi vampiri creati dalla coppia Del Toro/Hogan. Composta da sole dieci puntate, a fronte delle solite 13, la stagione conclusiva di The Strain lascia un gap di circa nove mesi dalla fine della stagione precedente.
ATTENZIONE SPOILER
Dopo la detonazione della bomba atomica a largo dell’isola di Manhattan da parte di Zach (Max Charles), adirato contro suo padre, il gruppo formato da Eph (Corey Stoll), Abraham (David Bradley), Dutch (Ruta Gedmintas), Fet (Kevin Durand) e Quinlan (Rupert Penry-Jones) si ritrova diviso. In questi nove mesi il mondo è totalmente cambiato ed il Maestro, che ora ha preso il corpo di Eldritch Palmer (Jonathan Hyde), guida nell’ombra un nuovo ordine mondiale in cui gli Strigoi comandano sugli umani. Questi, infatti, persuasi di poter un giorno raggiungere un’oasi di pace – la New Horizon – sono letteralmente delle sacche di sangue che camminano.
Tutto sembra perduto, ma, come banalmente si dice nel noto proverbio, la speranza è sempre l’ultima a morire. Eph, Fet, Quinlan, Dutch ed Abraham non si sono mai arresi all’idea di soccombere a questo inferno sulla terra. Seppur divisi continuano la loro opera di distruzione del Maestro. Dopo rocambolesche fughe e sempre più sanguinosi combattimenti contro gli Strigoi il gruppo arriva vicino alla vittoria, non senza consistenti sacrifici.
L’ultima stagione di The Strain arriva quasi arrancando ad un finale davvero epico e ricco di significato
Se lo sviluppo della stagione è stato caratterizzato da elementi di sceneggiatura non sempre brillanti, ad un’analisi più generale The Strain ha saputo raccontare sempre in modo coerente la sua storia. Questa stagione appena conclusa si è rivelata immediatamente differente dalle tre precedenti a partire, soprattutto, dalla sua timeline. Se le tre stagioni si estendono in un lasso di tempo minore ma fortemente dilatato – circa una settimana per stagione – l’ultima si colloca dopo quasi un anno provocando una sorta di capovolgimento nella velocità di racconto. Ci sembra infatti che la stagione conclusiva scorra troppo veloce rispetto alle antecedenti.
Scivoloni in fase di sceneggiatura sono accentuati dalla staticità di racconto verso alcuni eventi e personaggi. Non c’è molto spazio per l’approfondimento, e le dieci puntate appaiono decisamente poco sfruttate al meglio. L’irrefrenabile voglia di raggiungere il traguardo mina visibilmente tutta la struttura di The Strain.
A mantenere l’intero baraccone ci sono però i suoi protagonisti. Dal viscido Eichorst (Richard Sammel), all’insopportabile Zach, ogni personaggio è ormai pilastro fondamentale di The Strain. Sono loro a portare avanti la storia e a focalizzare la nostra attenzione. Ed è proprio il figlio di Eph, Zach a guadagnarsi il titolo di carattere più interessante della stagione. Fastidioso, certo, ma sicuramente l’inaspettato deus ex machina della vicenda. Il finale di serie è molto significativo nel suo contesto sviscerando il rapporto padre/figlio tra Zach e il Maestro o meglio tra Zach e suo padre e il Maestro e Quinlan in un finale tanto epico quanto suggestivo.
The Strain, nata con grandissimo potenziale, è riuscita in definitiva a raggiungere l’obiettivo. Si è persa nel suo modo di raccontare, stagnando il suo linguaggio, ma è riuscita a mantenere vivo l’interesse verso i protagonisti della sua storia. Il finale, repentino ma emozionante, è stato capace di fornire un epilogo soddisfacente e meritato ad una serie che ha ridefinito un genere. Ma non solo. The Strain è riuscita a mescolare horror e distopia con carattere ed originalità.