The Stranded: recensione della serie thailandese di Netflix
La recensione di The Stranded, la serie TV thailandese targata Netflix è un survival carico di mistero fatat di lotte di potere e misteri ancora irrisolti.
A una prima occhiata The Stranded potrebbe sembrare solo l’ennesima brutta copia di un capolavoro seriale come Lost. Stesse ambientazioni, simili premesse, perfino le dinamiche di gruppo potrebbero ricordare il survival dalle tinte filosofiche di J.J. Abrams.
A uno sguardo più attento si potrà notare tuttavia con piacere quanto The Stranded – serie tv thailandese distribuita da Netflix a partire dal 14 novembre – non sia la solita rivisitazione di un naufragio su un’isola misteriosa, ma un racconto che sa al tempo stesso intrattenere, commuovere e far riflettere.
L’inferiorità qualitativa rispetto a Lost è evidente, ma non per questo The Stranded non è degna di essere considerata una serie capace di donare tensione e di tenere impegnata la mente dello spettatore con dubbi e ipotesi.
The Stranded: un survival carico di mistero
Guardare The Stranded significa assistere alla sempre maggiore ascesa delle produzioni seriali non americane. In questo caso siamo di fronte a una serie proveniente dalla Thailandia, Paese che si respira nei paesaggi mozzafiato e nel ruolo che la natura stessa sembra avere nell’impianto dell’opera. La Natura dona vita e nutrimento, ma al tempo stesso mette gli esseri viventi in pericolo con i suoi sconvolgimenti. È proprio da un violento tsunami che inizia la vicenda raccontata da The Stranded.
Alla fine dell’anno scolastico un gruppo di ragazzi decide di dare una festa sull’isolotto in cui il giovane Kraam (Beam Papangkorn Lerkchaleampote) e il padre vivono, come a voler salutare il futuro che li aspetta. Un’altissima onda li coglie però impreparati, spazzando via tutto ciò che incontra e lasciando i ragazzi isolati dal resto del Paese.
Dopo venticinque giorni di sopravvivenza, il gruppo si mostra frustrato dall’assenza dei soccorsi: nessuno sembra essere sulle loro tracce. Man mano che si consolidano gerarchie, alleanze e rapporti, una serie di eventi misteriosi mette ancora più a repentaglio la stabilità del gruppo, impegnato nel tentativo di tornare a casa.
Sebbene la serie non sia tratta da fatti reali, si respira con angoscia la verosimiglianza di ciò che accade al gruppo di ragazzi protagonisti. Quella dello tsunami è una minaccia reale per i Paesi orientali più vicini al mare, minaccia che in anni recenti ha causato moltissime vittime.
The Stranded dona a questo fenomeno naturale disastroso un tocco quasi ultraterreno, non limitandosi a mostrarci le conseguenze della devastazione lasciata dall’onda, ma lasciandoci intendere che qualcosa di molto più misterioso deve ancora essere affrontato. Nonostante qualche caduta di stile, soprattutto a livello tecnico (alcuni effetti speciali risultano un po’ semplicistici), lo sviluppo della narrazione rende giustizia a una buona idea di base, calibrando con cura le tempistiche, puntando su una sceneggiatura dalla complessità ascendente e optando per uno sviluppo credibile dei personaggi.
Il target di riferimento, prettamente adolescenziale o giovanile, non comporta il rifiuto della profondità emotiva dell’opera. Siamo di fronte a un teen drama dalle tinte cupe e dai tratti avventurosi, ma pur sempre di un teen drama si tratta. C’è però maturità sia nella gestione della trama, che nel modo di presentarci le figure in gioco. La giovane età di queste ultime le porta a commettere molti errori, ma questo non è mai una scusa per la creazione di dramma fine a se stesso o di scene che mettono in secondo piano la serietà della situazione. Questi elementi denotano la buona qualità di una serie godibile anche per chi l’adolescenza l’ha superata da un pezzo.
I personaggi di The Stranded sono tutti molto diversi tra loro, a volte connotati da comportamenti saggi, a volte da colpi di testa immaturi, ma fanno parte di un racconto corale credibile e presentano reazioni coerenti. La vicenda vera e propria e il presentarsi graduale di eventi inspiegabili si appoggia anche a un’analisi psicologica di quasi ognuno di loro, al fine di presentarci delle figure ben delineate, complesse e controverse, alle quali è difficile non affezionarsi.
Alla creazione di un sistema di personaggi realistico contribuisce la scelta di differenziare tra loro le figure e i rapporti che li legano: abbiamo coppie eterosessuali, ma anche coppie gay, studenti popolari e ragazzi emarginati e soprattutto relazioni che nascono e si spezzano in modo sensato e non al solo scopo di creare svolte inaspettate.
The Stranded: lotte di potere e misteri ancora irrisolti
L’isola su cui i protagonisti sono relegati è un mistero in continuo sviluppo, ma oltre a essere una realtà naturalistica è anche un piccolo nucleo gerarchico dove hanno modo di svilupparsi rapporti e lotte di potere. I contrasti sono all’ordine del giorno in una situazione stressante come quella presentata da The Stranded e dalle piccole schermaglie adolescenziali si creano dispute più importanti. La serie mette l’uno contro l’altro il pacato Kraam, dal passato misterioso, e Anan (March Chutavuth Pattarakhumphol).
Il primo non sembra avere per natura la stoffa del leader, ma risulta sempre di più l’elemento a cui il gruppo fa riferimento, lui che conosce a fondo l’isola e la vita di mare. Il secondo vede la propria autorità (bramata, ma mai ottenuta) e la propria relazione minacciate con May (Pat Chayanit Chansangavej) proprio da Kraam.
Il lieve contrasto tra i due cresce, conducendo lo spettatore in un dramma personale che si sviluppa di pari passo con lo svelarsi di alcuni segreti dell’isola, in una vicenda appassionante ed emotivamente coinvolgente.
Il finale aperto suggerisce tuttavia che bisognerà attendere un’eventuale seconda stagione per avere la risposta ai numerosi interrogativi.