The Uncanny Counter: recensione della serie sudcoreana Netflix
Tre commessi di un negozio di noodles hanno il dono sovrannaturale di percepire i demoni che cercano di invadere il nostro mondo. Per loro è giunto il momento di arruolare anche il giovane e bistrattato So Mun, che scopre di poter condurre una vita molto più eccitante di quella vissuta finora.
The Uncanny Counter è una serie basata sul webtoon Amazing Rumor creato dal canale Daum e Jang Yi: la serie è stata trasmessa prima da OCN in Corea del Sud, per poi arrivare su Netflix in scala mondiale.
The Uncanny Counter: la trama
La trama è incentrata sul personaggio di So Mun, un ragazzino rimasto zoppo in seguito a un incidente stradale in cui ha perso i genitori. Quello che non sa è che la disgrazia è stata causata proprio da una telefonata in cui si chiedeva l’intervento di suo padre che, insieme alla madre, si occupava di proteggere la quotidianità dai demoni in agguato. Molti anni dopo, So Mun vive bullizzato dai compagni di scuola, accudendo i nonni che non hai mai smesso di colpevolizzarlo per la morte dei genitori. Durante l’ennesimo scontro con i prepotenti del quartiere, il protagonista viene salvato da qualcuno che, oltre ad aver sistemato i suoi problemi, lo guida verso un ristorante dove lavorano altri cacciatori. Grazie ai loro poteri, sono sulle tracce dei demoni che cercano di sfuggire alla morte impossessandosi degli animi di potenziali assassini, per guadagnarsi l’immortalità. La vita di So Mun diventa un vorticoso giro continuo sulle montagne russe della lotta del bene contro il male.
The Uncanny Counter: un mix di linguaggi per un racconto personale
The Uncanny Counter mescola diversi linguaggi derivanti soprattutto dal mondo dei manga, dei fumetti, dalle serie d’azione, impostando una continua alternanza tra scene al limite della commedia più esplicita a lunghi combattimenti di arti marziali. La serie si compone al momento di una sola stagione, anche se è già stata confermata la produzione della seconda, a sua volta composta da 16 episodi della durata di circa un’ora ciascuno. Nonostante l’ingente mole di materiale prodotto, il risultato si avvale di un ritmo scorrevole, complice anche la già citata alternanza di vivaci registri diegetici e anche grazie a un’impostazione visiva che giustappone i colori sgargianti delle “divise” dei protagonisti a momenti di ricognizione in cui il bianco del bene si oppone al nero del male. Nel corso delle puntate, il racconto assume sempre più la forma di un percorso personale, che affronta i problemi e gli imprevisti della vita così come cerca di combattere i demoni. In questo senso, i linguaggi di teen drama, racconto di formazione, serie d’azione e avventure da supereroi compenetrano l’uno nell’altro, lasciandosi anche andare in più di un’occasione a momenti francamente fin troppo sdolcinati.
The Uncanny Counter: non un prodotto da bingewatching
Nel complesso The Uncanny Counter non scorre velocemente, non si tratta di un bingewatching della domenica pomeriggio: la durata inibisce questo tipo di fruizione di cui invece la serie trarrebbe vantaggio. Sebbene comunque l’andamento derivi direttamente dai retaggi della cultura dell’Estremo Oriente, la vivacità del ritmo e dei dialoghi appassiona il pubblico e non lascia troppo spazio a lungaggini descrittive o inutili reiterazioni di azione. In altre parole, la serie è piuttosto lunga, ma lo è perché c’è tanto da vedere, continue acrobazie da ammirare e una storia da seguire in cui tutti i personaggi crescono continuamente. Tra un combattimento, un ricordo dei genitori defunti e una lezione di etica da strada, resta poco spazio per esplorare la verosimile ambientazione coreana, che resta piuttosto una scenografia funzionale alle vicende degli eroici protagonisti, molto spesso caratterizzata da percorsi labirintici, costellati da piccole finestre all’interno da cui spiare la vita quotidiana delle famiglie, a volte animate da lieti pasti o innocenti liti, altre volte presi invece d’assalto da parte dei demoni che rifiutano l’idea di morire.