The Witcher – stagione 3: recensione degli ultimi episodi con Henry Cavill
Rinascita e caduta da una prima parte alla seconda, la terza stagione di The Witcher delude le aspettative proprio nel finale
È sconvolgente quanto qualcosa possa mutare velocemente, intraprendere nuove strade e cambiare di conseguenza il nostro giudizio. È quello che è accaduto con la terza stagione di The Witcher, divisa inutilmente in due parti. La prima ci aveva convinto e non poco, in quanto la serie tratta dai libri di Andrzej Sapkowski sembrava aver trovato la propria identità in quanto adattamento. Il racconto, gli abiti e la scenografia si sono avvicinati molto di più alle pagine dello scrittore, accontentando (forse solo in parte) gli accaniti lettori. Ovviamente, non tutto era perfetto, ma potevamo intravedere quel cambio d’indirizzo tanto agognato, soprattutto dopo una seconda stagione discutibile e uno spin-off aberrante.
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Con l’arrivo della seconda parte il nostro bel castello di carte fatto di speranze è crollato sotto il peso della scarsa ambizione degli ideatori, nonché una buona dose di superficialità. Certo, i combattimenti sono mozzafiato e la CGI è nettamente superiore alle annate passate, ma l’azione da sola non può tenere insieme un prodotto, almeno non uno di questo stampo. Basti pensare alla fortunata House of the Dragon la cui carente computer grafica è stata bilanciata da una narrazione coinvolgente; come dimenticare quel cliffhanger. I paragoni molto spesso sono fini a sé stessi, ma in questo caso l’analisi calza a pennello.
Da amanti della saga di Sapkowski non possiamo che sentirci delusi dall’indirizzo preso dalla produzione, in virtù di due fattori: l’ottima premessa della prima parte e l’addio di Henry Cavill. Quest’ultimo aspetto è forse quello che ha smosso di più il fandom, tanto da animarlo di una cieca rabbia riversata poi in un review bombing senza regole. La nostra frustrazione, invece, è di tutt’altra pasta e ha a che fare con il primo aspetto, quello puramente narrativo. Siamo consci della difficoltà nell’adattare, nel trasporre un’opera, ma quando questa perde il proprio senso a favore della spettacolarizzazione non possiamo che storcere il naso. Ma andiamo per gradi, ed entriamo nel particolare.
The Witcher 3 – finale di stagione: le ottime premesse della prima parte spazzate via in un lampo
La prima parte della terza stagione si chiudeva con uno dei momenti più attesi dai fan letterari: la battaglia di Aretuza. Nei romanzi è uno dei maggiori punti di svolta del racconto, il momento in cui tutto cambia radicalmente, sia sul piano della geografia politica che del percorso dei protagonisti. Il tempo della guerra ci tiene incollati alle pagine, portandoci a divorarlo in un sol boccone. Qui le dinamiche tra maghi, re e spie si incrinano inesorabilmente e Geralt deve fare i conti con le proprie fragilità. Allo stesso modo Yennefer deve scendere a patti con i propri peccati e Ciri trovare la propria strada senza i genitori putativi in un mondo che la vuole o morta e o incinta.
Non solo, la battaglia di Aretuza porta in scena il vero villain, colui che ha intrecciato i fili di un piano diabolico. Vilgefortz di Roggeveen è un mago straordinario, la cui anima è stata avvolta dalle tenebre, aspetto che lo porta a compiere atroci efferatezze. Nella serie tutto ciò viene edulcorato all’inverosimile, fermandosi alla mera superficie. Ed è così che il Vilgefortz interpretato da Mahesh Jadu ne esce fuori sconfitto dal confronto con la sua controparte cartacea. Lo stesso vale per il povero Dijkstra, uno dei personaggi più affascinanti della saga letteraria. Graham McTavish viene sotterrato da una sceneggiatura che lo vuole eclissato da una Philippa Eilhart (Cassie Clare) che finisce per essere solo caricaturale.
Questo per dire come il tavolo di scrittura abbia appiattito la complessa psicologia di alcuni dei personaggi più importanti della saga a favore di una superficialità ingiustificata. Il vero girl power lo trovavamo nelle pagine dei libri di Sapkowski già trent’anni fa e che qui viene spiattellato forzatamente, risultando quasi didascalico come il ripetuto accenno alla genitorialità di Geralt e Yennefer. Insomma, la scrittura ha bisogno di appiattirsi e ripetersi prendendo lo spettatore per uno sciocco o uno sprovveduto. Insomma, ci sentiamo un po’ presi in giro. La seconda parte della terza stagione di The Witcher manca il centro, di dimentica di addentrarsi nelle profondità dei dialoghi e delle storyline dei personaggi. Per fortuna molto sembra fungere da contraltare, facendo in modo di darci almeno qualche contentino.
La stagione segue i romanzi i ìn modo pedissequo, dimenticandosi però dell’introspezione
Come detto in precedenza per la prima parte, gli ideatori hanno capito che è ai libri che devono puntare. Difatti, la trama è strettamente legata alla saga letteraria e molto di quello che accade segue in modo pedissequo Il tempo della guerra, secondo romanzo del ciclo dello strigo. Pensiamo alla già citata battaglia di Aretuza, la fuga di Ciri nel deserto, la convalescenza di Geralt a Brokilon e l’inizio di una nuova avventura in compagnia del sempre fidato Ranuncolo e di Milva (interpretata da Meng’er Zhang). Pensiamo anche all’incontro di Ciri con i Ratti e il suo diventare Falka. Tutto ciò ripercorre passo per passo le pagine del libro, in particolare il cliffhanger con la giovane leoncina di Cintra.
Per quanto riguarda il tempo di permanenza di Ciri nel deserto del Korath il tavolo di scrittura sceglie di spalmarla nell’intero settimo episodio. Una scelta discutibile e dalla messinscena ridondante e soporifera. Lo stesso vale per il periodo a Brokilon, il quale viene privato di tutte le fragilità di Geralt, o almeno di quelle più intime e profonde. Ed è qui che interviene lo sbilanciamento nella terza stagione di The Witcher: nel suo compiere due passi avanti e uno indietro. Ne riconosciamo comunque la qualità visiva, perché sarebbe stupido non farlo, ma ne osserviamo anche le varie crepe, formatesi però nelle stagioni scorse. Lo spettatore medio deve fare i conti con un racconto che stride a più riprese, soprattutto nel configurare le varie fazioni e il loro coinvolgimento.
In sintesi alcune cose funzionano e altre meno. Se da una parte apprezziamo il nuovo percorso intrapreso da Cahir e soprattutto del suo interprete, Eamon Farren, dall’altra non capiamo il destino di Rience. Gli ultimi due episodi non sembrano neanche fungere da finale di stagione, lasciamo lo spettatore con l’amaro in gola. A tal proposito l’addio di Cavill non sembra essere quello annunciato, anche se bisogna prendere in considerazione il fatto che l’annuncio è arrivato dopo la fine delle riprese. Tra una prima parte coinvolgente e una seconda alquanto discutibile, la terza stagione di The Witcher ha comunque detta la sua, distinguendosi dai vari prodotti fantasy presenti nelle tante piattaforme. Non è il prodotto di qualità che vorremmo, questo è certo, ma è comunque una spanna sopra rispetto a molti altri; una magra consolazione.
The Witcher – stagione 3: conclusione e valutazione finale
La prima parte della terza stagione di The Witcher ci aveva fatto credere in una sua rinascita. Il tavolo di scrittura riconosce l’importanza del materiale originale, seguendolo quasi in maniera pedissequa per tutti gli otto episodi. Cambia e ribalta alcuni avvenimenti, ma di per sé il percorso dei protagonisti rimane immutato rispetto alle pagine di Sapkowski. Le scene action sono adrenaliniche e d’impatto, soprattutto quando entra in scena il Geralt di Henry Cavill. La CGI e la recitazione compiono un notevole e innegabile salto di qualità, tanto da restituirci un mondo fantasy credibile e reale, con le sue regole e le sue ombre.
Allora cos’è che non va? A nostro avviso la sceneggiatura si ferma alla superfice, alla mera spettacolarizzazione dimenticandosi l’introspezione, la psicologia dei personaggi – fondamentale nei romanzi di Sapkowski. Ne escono così sconfitti personaggi fondamentali come Vilgefortz, Dijkstra, Philippa Eilhart e in un certo senso anche la stessa Yennefer. Con l’addio di Cavill i fan hanno perso tutta l’attenzione per la serie e bisognerà vedere quale sarà il futuro della serie. Molto deve ancora accadere se pensiamo che la serie sia ancora al secondo romanzo della saga a fronte di un ciclo di sei libri (otto se si considerano le prime due raccolte).