Tiny Pretty Things: recensione della serie TV Netflix

La recensione della nuova serie originale di Netflix ambientata nel duro mondo della danza. Arriva sulla piattaforma statunitense a partire dal 14 dicembre il teen-drama in salsa mistery tratta dal romanzo omonimo di Sona Charaipotra e Dhonielle Clayton.

Prendi alcuni degli ingredienti chiave di Pretty Little Liars o Un gioco da ragazze e mescolali con quelli di Black Swan. Il risultato è qualcosa che si avvicina molto a quello che lo showrunner Michael MacLennan ha ottenuto mettendo le mani sulle pagine del romanzo Tiny Pretty Things di Sona Charaipotra e Dhonielle Clayton. Quel qualcosa è la nuova serie originale di Netflix in dieci episodi (da 60 minuti cadauno) rilasciata lo scorso 14 dicembre.

Tiny Pretty Things:un pastice di teen-drama, mistery e crime, condito con un’abbondante dose di sesso e atmosfere torbide

Dai riferimenti precedentemente chiamati in causa è chiara quale sia la ricetta proposta agli abbonati della piattaforma statunitense, ossia un pastice di teen-drama, mistery e crime, condito con un’abbondante dose di sesso e atmosfere torbide, che trova la sua cornice nel mondo della danza accademica. Un mondo che in Tiny Pretty Things viene restituito in tutta la sua durezza, frutto di una spietata selezione naturale e di una ferrea regolamentazione. Un mondo che assomiglia a una gigantesca vasca popolata da squali pronti a divorarsi a vicenda pur di mettersi in mostra agli occhi del coreografo di turno per conquistare un assolo, un ruolo importante o la prima fila in un balletto. Un mondo di invidie, voltafaccia, omissioni, competitività e sgambetti al prossimo, dove i sentimenti vengono messi in ghiacciaia per lasciare spazio alle individualità, all’apparire prima che all’essere, alla ricerca spasmodica e maniacale della perfezione del corpo e del gesto. Il tutto in nome dell’Arte nobile della danza, nella quale i sacrifici fisici e nutrizionali, gli allenamenti continui fatti di ore e ore di prove, di passi replicati sino allo sfinimento, portano i corpi e le menti ben oltre il limite.

Tiny Pretty Things: un valzer di tradimenti, segreti inconfessabili, trasgressioni, relazioni pericolose, ipocrisie e illeciti

Tiny Pretty Things cinematographe.it

Una visione che tende a estremizzare e a romanzare quanto probabilmente accade nella vita reale delle compagnie e nelle scuole di danza d’élite come quella fittizia che fa da sfondo alle vicende narrate da MacLennan, la prestigiosa Archer School of Ballet di Chicago. Qui si consuma un valzer di tradimenti, segreti inconfessabili, trasgressioni, relazioni pericolose, ipocrisie e illeciti che trasformano la scuola e i suoi spazi in un microcosmo malato, in un ventre corrotto e infetto destinato a partorire dolore, sofferenza, molestie e abusi. Il muro eretto dalla dirigenza e da coloro che detengono il potere in difesa di tutto questo, al fine di non mettere in discussione la rispettabilità e la fama acquisite nei decenni dall’Accademia, finirà inevitabilmente per sgretolarsi episodio dopo episodio sino a ridursi a un cumulo di macerie sporche di sangue, sperma e sudore.

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La prima picconata al muro arriva nel prologo del pilot, quando dal parapetto dell’ultimo piano del dormitorio della scuola precipita l’allieva di punta della scuola, finendo miracolosamente in coma. Una caduta non accidentale, tantomeno un tentativo di suicidio, ma provocata da una spinta di una persona la cui identità verrà svelata in prossimità della fine di quella che, a giudicare dall’epilogo, si  preannuncia come la prima di una serie di stagioni. Ci scappa, infatti, una morte di quelle eccellenti, capaci di scoperchiare il vaso di Pandora e innescare una nuova indagine. La prima porterà alla luce il responsabile o la responsabile del tentato omicidio della punta di diamante della Archer, l’amata e odiata Cassie Shore (Anna Maiche), strepitosa stella nascente che brilla di una luce propria che finisce con offuscare quella delle colleghe. Ma anche lei non è uno stinco di santo, alla pari della variegata fauna umana che la circonda. Tutti, nessuno escluso, ha i propri scheletri nascosti nell’armadio, i suoi vizi e persino le sue perversioni, che diventano motivi di ricatto e di vendetta anche per la nuova arrivata Neveah Stroyer (Kylie Jefferson), talentuosa quanto ribelle promessa della danza, anch’essa inghiottita dall’aspirale di segreti e violenze che si consumano tra le mura della Archer.

Tiny Pretty Things: temi importanti e delicati sfruttati narrativamente più che approfonditi

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Insomma Tiny Pretty Things ha delle buone premesse drammaturgiche che purtroppo restano tali, frenate bruscamente da una trama gialla esile e facile da smascherare nonostante i ripetuti tentativi di depistaggio e rimescolamento delle carte messi in atto per fare ricadere la colpa a turno su una catena infinita di sospetti. Trama che ha qualche sussulto di tanto in tanto, ma che non riesce a prende mai in contropiede uno spettatore che non avrà difficoltà a leggere il futuro degli accadimenti, poiché prevedibili e telefonati. Le cause risiedono nella debolezza strutturale del racconto e dei suoi intrecci, oltre che nell’approssimativo disegno dei personaggi, che assomigliano a un campionario di soggetti eterogenei scaraventati di volta in volta in quadro per timbrare il cartellino e servire da cavia per parlare di tematiche attuali e delicate che possono riguardare il coming of age: dalla violenza sessuale all’integrazione, dai disturbi alimentari all’abuso di droghe e farmaci, per passare ai sogni infranti, all’incomunicabilità, ai rapporti conflittuali in famiglia e alla ricerca del successo a tutti i costi. Temi che vengono sfruttati narrativamente più che approfonditi, schiacciati loro e nostro malgrado dal peso della troppa carne messa al fuoco.

In Tiny Pretty Things l’elemento coreografico per fortuna non è un accessorio

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Tutte le intenzioni si perdono nel tentativo frettoloso, incompleto e meccanico di intrecciare il percorso di formazione dei giovani ballerini al lato oscuro che ci può essere dietro. È questo il vero tallone d’Achille di una serie altrimenti esteticamente ben confezionata, nella quale per fortuna la componente danzeresca, pur non eccelsa, non appare un soprammobile (se cercate qualcosa di migliore consigliamo la visione di Flesh and Bone) come nel caso delle dinamiche sentimentali e della sessualità, usati invano come ganci per provare a coinvolgere emotivamente e surriscaldare i bollenti spiriti del fruitore di turno.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3
Recitazione  - 2
Sonoro - 2.5
Emozione - 1.5

2.2

Tags: Netflix