Tredici – stagione 4: recensione della serie Netflix
La nostra recensione della quarta e ultima stagione di Tredici, il teen drama Netflix che esplora il suicidio, le violenze sessuali e la depressione.
C’era davvero bisogno di una stagione 4 di Tredici? No, ma ad essere sinceri non c’era bisogno nemmeno della 2 e della 3. Partiamo, quindi, dal presupposto che la serie Netflix non sentiva minimamente la necessità di un seguito dopo una prima stagione incentrata sul suicidio brutale di Hannah Baker (Katherine Langford). Eppure, questa quarta stagione arrivata sul servizio streaming il 5 giugno, è riuscita nell’impresa di diventare una delle cose meno utili nella storia dell’intrattenimento. Dieci episodi vuoti di significato e colmi di cliché, di ripetizioni, di insensatezze, troppe persino per un teen drama.
Tredici: il riassunto completo della serie TV Netflix in attesa della stagione 4
La storia di quest’ultima stagione è questa: il gruppo di amici deve fare i conti con il senso di colpa dell’aver incastrato Monty (Timothy Granaderos) per l’omicidio di Bryce (Justin Prentice). Quello che subisce il colpo con più violenza è ovviamente Clay (Dylan Minnette) il quale manifesta i sintomi di un vero e proprio crollo nervoso. Ma a causare veri problemi ai protagonisti è il (casualissimo) trasferimento alla Liberty High School di Winston (Deaken Bluman), il ragazzo che – dopo aver avuto una breve relazione con Monty – è disposto a tutto per dimostrare che non è davvero quest’ultimo il colpevole dell’omicidio. Inizia a indagare entrando di prepotenza nella comitiva e guadagnandosi l’amicizia (o qualcosa di più) di Alex (Miles Heizer). Intanto anche la squadra di football della scuola non crede alla colpevolezza di Monty, convinti che il vero assassino sia Clay. Intanto i ragazzi iniziano a essere sorvegliati a vista dalla scuola e dai genitori con l’aiuto della polizia locale; un fiato sul collo che ai solitamente liberissimi adolescenti della Liberty non va proprio giù.
Tredici: una stagione finale piena di nulla
Insomma: tante tante cose, nulla di interessante. Le storylines sono trite e ritrite e sembrano ruotare su loro stesse senza una vera e propria via di uscita. Tutti i protagonisti sono in crisi, gli eventi si susseguono in una sorta di nebbia narrativa che si conclude con un finale altrettanto dimenticabile.
La serie fallisce nel colpire nel segno dal punto di vista emotivo nonostante non manchino i discorsi accorati, le morti drammatiche e il ritorno parecchio forzato dei fantasmi del passato. I teen drama non sono mai fonte inesauribile di qualità, anzi. Sono dedicati a un pubblico giovane, spesso poco esigente, spesso più interessato all’avvenenza dei protagonisti che alle storie che raccontano. Eppure Tredici dice di essere parecchio attento a quello che mette sullo schermo: ogni episodio inizia e termina con un appello a cercare aiuto per coloro che potrebbero avere gli stessi problemi inseriti nella serie, più di una volta viene fatto riferimento al concetto di rinascita, di rivalsa, di sostegno, di guarigione fisica e mentale.
Eppure, Tredici è una serie presente a se stessa, che in passato non ha avuto paura di mostrarci momenti che hanno fatto discutere e che (al contrario delle accuse mosse da coloro che temono l’emulazione) hanno un potenziale pedagogico estremamente elevato. Ci hanno mostrato il suicidio di Hannah (violentissimo, come giusto che sia) non per spettacolarizzazione, ma come monito; ci hanno mostrati gli stupri e le violenze – tante, purtroppo – perché è la triste realtà quotidiana in una società che tende a colpevolizzare la vittima, piuttosto che il carnefice il quale spesso viene punito con vergognoso lassismo. Ci hanno mostrato l’aborto, l’abuso di droga, la depressione, l’ansia, l’autolesionismo. Chi scrive ha spesso tessuto le lodi di Tredici per il coraggio che aveva avuto nel mostrare certe problematiche e nel farlo senza pudore, chiudendo un occhio sul trash che circondava l’impegno sociale: rimane comunque un prodotto di intrattenimento.
Tredici, il trailer della stagione 4: i fantasmi del passato ritornano
Proprio per tutto quello che era venuto prima, quest’ultima stagione delude tanto. Di profondo, di educativo, non c’è proprio nulla. Rimane il trash che – ad aggravare la situazione – non è nemmeno un trash divertente, ma solo ripetitivo alla follia. Vengono infilati a forza trame drammatiche cucite addosso all’adolescenza americana: le sparatorie, il controllo di genitori e forze dell’ordine, le divisioni razziali, l’incertezza del futuro. E tutto è contemporaneamente fitto e annacquato, pieno di cose da dire, ma senza la capacità di dirle nella maniera giusta. E a rappresentare perfettamente il fallimento della quarta e ultima stagione di Tredici è il suo finale.
Attenzione: seguono spoiler del finale di Tredici
Negli ultimi episodi della serie scopriamo che Justin (Brandon Flynn) è malato di AIDS. Viene data una giustificazione comoda e assurda su come la sua situazione si sia aggravata in maniera follemente repentina e il ragazzo muore, unendosi ai fantasmi che Clay vede ovunque (che però, sente il bisogno di spiegarci, sono solo frutto della sua immaginazione). Tutti si riuniscono al suo funerale e poco dopo avviene la cerimonia del diploma. I ragazzi si dicono addio seppellendo le cassette di Hannah e ognuno si appresta a vivere la sua vita, tra college e mondo del lavoro.
Si chiude la stagione senza che nulla sia davvero accaduto. Winston non ha cercato davvero giustizia per Monty, la salute mentale di Clay rimane un mistero, tutto è bene ciò che finisce bene. Non c’è stata crescita, non c’è stata chiusura. Il finto dramma, la finta commozione che aveva caratterizzato l’intera stagione 4, riempe il finale fino all’orlo con un episodio che sembra non sapere davvero come finire. È meglio terminare con il discorso commovente di Clay agli studenti? Oppure è meglio finire con l’immagine dei protagonisti che sotterrano il ricordo di Hannah Baker? E se chiudessimo con la lettera di Justin a Clay, nel quale lo definisce “suo fratello”? Insomma, un episodio colmo di “finali a effetto”, di finti addii, di forzati momenti profondi.
Salutiamo tutti Tredici, consapevoli che ha avuto i suoi momenti di gloria, che gestita nel modo giusto sarebbe potuta essere uno strumento di Netflix per riscattare la nomea dei teen drama. Salutiamo Tredici e la sua stagione finale che vorremmo non fosse mai esistita.