True Detective – Stagione 3: recensione della serie tv su Sky Atlantic
Nel profondo sud statunitense, a West Finger, due ragazzini scompaiono misteriosamente. Il detective Hays si mette sulle loro tracce, in un'indagine che durerà più di trent'anni.
Facendo tesoro degli errori passati, la terza stagione di True Detective – serie antologica HBO, e prodotto di punta della nuova stagione di Sky Atlantic – riparte da dove aveva iniziato, recuperando cioè le cupe atmosfere dell’irraggiungibile first season interpretata da Matthew McConaughey e Woody Harrelson e abiurando l’annata numero due in effetti priva dell’alone misterico dell’originale e ridotta a semplice dramma poliziesco. Si torna dunque al profondo sud americano: non più la Louisiana depressa e morente del detective Rust Cohle, ma l’altopiano di Ozark, terra di nessuno fra l’Arkansas e il Missouri in cui si muove il tormentato agente afroamericano Wayne Hays.
La potenza di True Detective è data prima di tutto dalla sua capacità di creare protagonisti credibili, con un background solido e convincente. Prima della storia vengono i personaggi, e non c’è dubbio che il “Purple” Hays di Mahershala Ali (primo attore di fede musulmana a vincere l’Oscar nel 2017, grazie a Moonlight) risponda a questa fondamentale caratteristica, restituendo allo spettatore l’idea di un essere umano ossessionato da un caso irrisolto risalente a più di trent’anni prima, circondato da fantasmi esistenziali e lavorativi che lo consumano col passare dei mesi, degli anni e dei decenni.
True Detective: il triplo piano temporale
Pur rientrando nei ranghi di una narrazione che sacrifica la sperimentazione riportandoci nei lidi sicuri di una scrittura già masticata e digerita in passato, l’ideatore Nic Pizzolatto ci regala un nuovo affascinante virtuosismo: la vicenda si svolge in ben tre differenti piani temporali, che continuamente si mescolano fra loro contribuendo al completamento del mosaico. C’è il 1980, anno in cui i due fratelli Purcell (di 10 e 12 anni) scompaiono nel nulla nel pomeriggio di un giorno qualsiasi; c’è il 1990, in cui il caso viene riaperto a causa di una curiosa e inaspettata scoperta; e c’è il 2015, con Hays ormai 70enne e affetto da Alzheimer invitato a rilasciare un’intervista per un programma televisivo dedicato ai casi irrisolti della storia recente.
A West Finger, in un’atmosfera plumbea e densa di inquietudine e tensione, tutti sembrano sapere qualcosa in più di quanto siano disposti ad ammettere, tutti sembrano nascondere qualcosa di fondamentale e risolutivo per le indagini. A partire dai genitori dei ragazzi, separati in casa e poco disposti a collaborare con la polizia; passando per un gruppo di adolescenti che ha visto i ragazzini aggirarsi nelle vicinanze in bicicletta nel giorno della loro scomparsa; e arrivando all’uomo della spazzatura, una sorta di barbone malvisto dagli abitanti del quartiere. Passato, presente e futuro: True Detective mescola con maestria le tre diverse epoche in cui si svolgono gli eventi, tornando a quel “Time is a flat circle” (letteralmente, “il tempo è un cerchio piatto”: tutto quello che abbiamo fatto o faremo, continueremo a farlo all’infinito) che era stato uno dei leitmotiv della prima indimenticabile stagione.
True Detective: tra la guerra del Vietnam e le Pantere Nere
La sceneggiatura di Pizzolatto – coadiuvato in fase di scrittura dal regista Jeremy Saulnier, già dietro la macchina da presa in Blue Ruin (2013) e nel disastroso originale Netflix Hold the Dark (2018) – semina svariati riferimenti storico-culturali utili al prosieguo del racconto. In cima alla lista c’è il Vietnam, da cui tutti sembrano per un motivo o per un altro reduci: lo stesso Hays, in guerra “segugio” da ricognizioni a lungo raggio; il suo collega Roland West (carattere per ora pochissimo sviluppato, ma attendiamo fiduciosi); e il sopraccitato vagabondo Woodard, che durante un interrogatorio domanda sibillino “Siete mai stati in un posto che non potevate lasciare e in cui non potevate allo stesso tempo rimanere?”.
Ma il demone principale contro cui Hays deve combattere è senza ombra di dubbio il razzismo strisciante, filtro attraverso cui tutti osservano il suo operato diffidando delle sue buone e reali intenzioni. Nel momento in cui nella vita del protagonista entra l’insegnante Amelia Reardon, ex membro delle Pantere Nere e da subito connessa alla sparizione dei bambini, il cerchio si chiude: sarà necessario, nel corso di queste nuove otto puntate, tenere sempre bene a mente il sottotesto della discriminazione razziale e dei privilegi di cui godono i bianchi solo per diritto di nascita. Perché la giustizia non è uguale per tutti.
True Detective: il tempo passa in fretta
True Detective – stagione 3: scopri qui tutti i registi degli 8 episodi
Fra un balzo temporale e l’altro, comprendiamo col passare dei minuti come il detective Hays sia profondamente cambiato nel corso degli anni. Se negli anni ’80 il personaggio è quadrato e inamovibile, cane sciolto che non deve rendere conto a nessuno se non alla propria coscienza, nei ’90 lo ritroviamo più pacificato e morbido, padre di due figli e conscio che ogni propria azione ricadrà inevitabilmente sul benessere della propria famiglia. Ma è l’Hays del 2015 a stupire, soprattutto alla fine del secondo episodio: ci troviamo di fronte a un uomo che a fatica riesce a far ordine nei propri ricordi, a causa di una malattia degenerativa che ne mina la lucidità e l’emotività.
Il fatto che una parte della storia passi attraverso le memorie incoerenti e – forse – inattendibili di quest’ultima evoluzione del personaggio rimescola ulteriormente le carte, chiedendo uno sforzo in più in chi guarda e sottolineando la qualità sopraffina di un prodotto che se, da un lato, ha perso lo smalto degli inizi, dall’altro sta cercando saggiamente di cambiare pelle e modificare la propria essenza. Le premesse ci sono, gli spunti abbondano e dopo due episodi siamo agganciati a una nuova oscura e ramificata indagine. Come dice Hays, “Il tempo passa in fretta”: si può guardare ai fasti del passato, ma cercando di superarli e di non restarne imprigionati per sempre.