Turning Point – La bomba atomica e la guerra fredda: recensione della docuserie Netflix
Turning Point - La bomba atomica e la guerra fredda è il titolo della monumentale docuserie Netflix (12 marzo 2024) che ricostruisce gli ultimi ottant'anni di storia per spiegare il nostro confuso e inquietante presente.
Su Netflix dal 12 marzo 2024, nove episodi di un’ora ciascuno, c’è la docuserie definitiva sulla Guerra Fredda. La storia, con o senza maiuscola, è una presenza viva e molto inquietante in Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda, regia di Brian Knappenberger. Dal battesimo della prima atomica negli anni ’40 del XX secolo alla proliferazione nucleare, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al crollo dell’URSS, dai primi vagiti di un nuovo ordine mondiale all’ascesa di Vladimir Putin, la docuserie – il precedente capitolo della collezione Turning Point riguardava l’11 settembre e la guerra globale al terrore – percorre agilmente otto decenni di storia per spiegare e capire meglio il presente. Le coordinate temporali sono: 1938 – 2023. Le coordinate spaziali: USA, URSS (ma non solo). I nomi da tenere a mente: Hitler, Kennedy, Putin, Roosevelt, Nixon, Gorbačëv. Le parole chiave: conflitto, sangue, responsabilità morale, tecnologia, deterrenza, apocalisse e, soprattutto, bomba. La bomba è la glaciale coerenza del mondo moderno: una promessa di morte e distruzione che spalanca all’umanità una nuova, pericolosissima pagina. Un punto di svolta. In inglese, appunto, turning point.
Turning Point – La bomba atomica e la guerra fredda: la bomba, il tempo, la Guerra Fredda, gli uomini e le donne che fanno la Storia
Questa storia, questa Storia, comincia alle porte della Seconda Guerra Mondiale, negli anni ’40 del XX secolo e (non) si conclude ai giorni nostri, nel tardo autunno 2022/primi mesi del 2023, nel fango e nel ghiaccio dell’orribile conflitto ucraino, l’invasione russa dell’Ucraina. A molti commentatori la guerra è sembrata, dai primi battiti, il piccolo grande spartiacque che resuscita un’epoca che si pensava, con i suoi rischi di guerra generalizzata e la promessa di apocalisse nucleare, accantonata per sempre. Vladimir Putin ha riportato indietro di tre decenni le lancette del mondo e riesumato la Guerra Fredda? Poi, cosa si intende, esattamente, quando si definisce una guerra “fredda”? Non c’è stata abbastanza violenza nel mondo, anche senza un conflitto diretto tra le due superpotenze (USA-URSS, poi Federazione Russa)? La tesi, credibile, è che la Guerra Fredda non se ne sia mai andata del tutto.
Brian Knappenberger dirige i nove episodi di Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda indossando l’abito del cronista storico. Non tenta di imporre una visione pigra e preconfezionata degli eventi, né cerca interpretazioni audaci e poco credibili per il gusto della provocazione fine a se stessa (e la ricerca di uno spettatore in più). A contare sono i fatti, le cause e le conseguenze. E la volontà di porre interrogativi, capire, studiare, intervistare. Per raggiungere l’obiettivo – capire il presente attraverso lo studio del passato – immagina, il regista, un’opera monumentale, più di nove ore di durata. Con tutto il rigore della storia passata al microscopio, organizzata per lo spettatore nei saliscendi di una narrazione tesa e vibrante. Va però detto che anche la docuserie, cioè la cronaca ostinatamente scrupolosa dei fatti, quella che non cede mai a falsificazioni di sorta, deve sottostare a convenzioni drammatiche se vuole tener desta l’attenzione dello spettatore.
Ha bisogno di un protagonista indiscusso, Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda e lo rintraccia nella bomba atomica, nella promessa di annientamento totale che conduce l’umanità sull’orlo di un baratro fino ad allora solo immaginato. Ha bisogno di spazi, i deserti americani dei primi esperimenti o le città giapponesi ridotte a un mucchietto di polvere, Berlino divisa o l’impenetrabilità delle stanze del potere (a Mosca e Washington). Ha bisogno di pathos e ironia. Il pathos è l’impietosa fotografia di un paese umiliato, la Russia, che negli anni ’90 del Novecento passa da un giorno all’altro dall’imperitura gloria della superpotenza che decide i destini del mondo allo sfacelo della crisi tripartita, politica-sociale-economica, che la trasporta ai margini della scena, rancorosa e avida di vendetta.
L’ironia (amarissima) è la temperatura della guerra, fredda perché mai combattuta a viso aperto dai russi agli americani, anche se in tanti, nel mondo, muoiono al posto loro. Ha bisogno, Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda, di volti soprattutto, di carne, di nomi e cognomi. Ha bisogno di trovare i comprimari della bomba, le menti e le braccia in grado di accompagnarla nel viaggio di morte dalla seconda metà del Novecento a oggi. Oppenheimer, JFK, Reagan, Eltsin; tanti, troppi da poterli elencare tutti. Merita di essere citato il fantasma più recente, lo spettro della storia che torna alle origini, più cupa e violenta che mai: Vladimir Putin. Poi, non va scordato il contributo degli illustri personaggi che intervengono a puntellare la narrazione, offrendo il punto di vista di chi la storia l’ha vissuta da insider, dalla prima fila, si parli dell’ex premier britannico Tony Blair o, è il pezzo forte, del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.
Una cavalcata di ottant’anni che cerca di razionalizzare una mole sterminata di informazioni, spiegando il presente a partire dal passato
Il tempo è la preoccupazione principale di Brian Knappenberger. Prima di tutto, si tratta di definire una linea narrativa che leghi in maniera costruttiva e coerente il tempo presente – la guerra ucraina e le sue tangibili minacce nucleari – con gli antefatti, cioè gli ultimi ottant’anni circa di storia e come hanno condotto alla crisi attuale (Vladimir Putin vs. la civiltà occidentale). Ognuno dei nove episodi aggiunge un tassello al percorso di ricostruzione storica ma, non importa quanto lontano dagli anni ’20 del XXI secolo, trova sempre il modo di riportare lo spettatore nel presente, alle criticità e ai rischi del conflitto ucraino. Il ping pong tra passato e presente è solo uno dei due modi di risolvere il problema di Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda. Il punto è che ottant’anni sono un tempo lunghissimo e denso, molto denso. Come riassumere senza banalizzare?
Superficialmente, nove episodi di un’ora circa sembrano più che appropriati, data la materia, idonea tra l’altro a scoraggiare visioni frettolose; solo per stavolta, niente binge watching. Guardando le cose più da vicino, ci si rende conto della posta in gioco: una guerra mondiale cui seguono otto decenni di conflitto attutito e camuffato in una serie interminabile di guerre locali. In più, scoperte scientifiche, presidenze, leader comunisti, attentati terroristici, conferenze, trattati. Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda contiene un volume enorme di informazioni e deve decidersi: non tralasciare nulla, di ciò che conta, senza scendere troppo nei dettagli, o puntare il focus su un singolo periodo e scavare il più possibile. Sceglie la prima via e per questo non sazierà la sete di informazioni dello spettatore bene informato, che sa gia tutto, non farà la gioia del complottista, perché c’è poca voglia (per fortuna) di costruire un nuovo storytelling. Saprà venire incontro alla curiosità dello spettatore medio, che vuole imparare e qui trova un solido punto di partenza.
Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda sintetizza la storia di un mondo in rapida trasformazione puntando forte sullo studio della personalità dei leader; il rischio è di appiattire l’esplorazione degli eventi, esasperando l’analisi della psicologia e dei caratteri a scapito del contesto (sociale, politico, tecnologico), rinunciando cioè a capire in che modo quest’ultimo influenzi le scelte e plasmi le personalità. Si è detto che la serie inquadra la guerra fredda essenzialmente come macrofenomeno. Paradossalmente, funziona soprattutto quando ha il coraggio di staccarsi dal corso degli eventi per isolare verità trascurate dalla narrazione ufficiale, come la tragica vicenda dei cittadini americani inconsapevolmente esposti alla radiazioni del primo test nucleare. Sa legare (molto) bene i traumi del presente alle scelte del passato; la bomba è lo spartiacque che introduce il mondo nell’era della distruzione reciprocamente assicurata e dei costruttori di bombe/distruttori di mondi. La bomba è un oggetto concreto e un simbolo, posato sul fondo della coscienza del tempo. Aleggia sulla docuserie, infesta in maniera subdola e sotterranea il presente. Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda va di fretta, non si sofferma troppo sui particolari, ma della nostra contemporaneità tormentata ha colto l’aspetto decisivo.
Turning Point – La bomba atomica e la guerra fredda: conclusione e valutazione
Specialmente nel primo episodio, la storia della bomba e dei suoi primi orribili vagiti, Turning point: la bomba atomica e la guerra fredda offre una narrazione sobria e rigorosa che si accompagna, non sostituendolo né ridimensionandone in alcun modo la portata, alla forza drammatica di Oppenheimer e alle sue inevitabili (per finalità spettacolari) deformazioni storiche. Tradizionale nella struttura e forse meno audace di quanto si vorrebbe nella forma, la docuserie ha il merito di raccontare la storia dal centro della scena, grazie a una serie di contributi pesantissimi per la rilevanza e il prestigio degli intervistati (Volodymyr Zelens’kyj, Jens Stoltenberg, Condoleezza Rice), creando una comunicazione tra passato e presente elettrica, capace di fare della storia, letteralmente, materia viva.