Tutto chiede salvezza – stagione 2: recensione della serie TV Netflix
Tutto chiede salvezza è una poesia potente e ha un grande pregio: far sentire lo spettatore parte di qualcosa.
Fa male Tutto chiede salvezza perché tocca il lato più fragile dell’essere umano, entra nelle pieghe dello strazio più profondo, quello di cui spesso l’individuo si vergogna o che vuole, almeno, tenere più nascosto possibile. Torna su Netflix il 26 settembre 2024 la seconda stagione di Tutto chiede salvezza – serie liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli – rientrando in un reparto d’ospedale, quello psichiatrico, dove difficilmente si ha la “strada libera” perché si porta al centro un tema purtroppo ancora molto difficile da trattare, quello della salute mentale. Questa volta gli episodi sono 5, non più 7 come la prima stagione, 5 come le settimane di Tutto chiede salvezza, diretta da Francesco Bruni e scritta sempre da lui, assieme allo stesso Daniele Mencarelli e a Daniela Gambaro, 5 le settimane in cui Daniele (un ancora più bravo Federico Cesari che indaga le parti più delicate e complesse dell’umano con una forza e una delicatezza senza pari) dovrà dimostrare di aver ripreso in mano la propria vita e di poter essere un buon padre per la piccola Maria, la bambina nata dalla relazione con Nina (Fotinì Peluso). 5 settimane durante le quali le vite dei personaggi già conosciuti si intrecceranno a quelle dei nuovi, tra il reparto di psichiatria e il mondo esterno.
Tutto chiede salvezza 2: il viaggio di Daniele cambia prospettiva ma non cambia il centro
Sono passati due anni dopo i fatti della stagione prima stagione: Daniele e Nina sono diventati genitori e Daniele è stato talmente toccato dall’esperienza all’interno del reparto che ha deciso di studiare per diventare infermiere e inizierà a fare tirocinio lì dove tutto, anche sé stesso, ha preso una luce diversa. Daniele e Nina sono entrati velocemente in crisi (grazie anche alle rispettive famiglie), le loro differenze si scontrano e di quell’amore dolce e tenero è rimasto ben poco. Loro non hanno più tempo, devono andare avanti, ciascuno con la propria vita, ciascuno con i propri squarci da ricucire. Le 5 settimane serviranno anche a capire se i due siano genitori responsabili e in che modo organizzare l’affido della bambina.
Le cose per Daniele non sono facili e, a poco a poco, emergono le fragilità dolorose di un uomo che porta dentro ferite profonde, che non si nasconde o meglio che è consapevole di essere ciò che è, anche per il suo bagaglio emotivo, a tratti instabile. Il viaggio di Daniele cambia di prospettiva, non è più steso nel proprio letto, in reparto, accanto a Madonnina e di fronte ad Alessandro, non può più ritrovare conforto nelle parole di Mario (Andrea Pennacchi) ma non sarà meno faticoso. Lui è sempre lui, anche se ora indossa un camice, lui è lui con tutto il dolore, le ossessioni e le paure che lo fanno innervosire e scattare. Questo è ciò che lo potrà far essere bravo nel suo mestiere perché sa, conosce, potrebbe essere balsamo per quelle persone che non sanno cosa sia pace.
Tutto chiede salvezza 2 cambia di prospettiva ma non cambia centro, è il luogo a parlare, a narrare le storie dei suoi abitanti, come lo è stato per Madonnina, Mario, Alessandro, Giorgio e Gianluca, persone a cui non si può non volere bene. Daniele continua ad essere prima di tutto in lotta con sé stesso, quel ragazzo pericoloso, “dinamitardo” emotivamente, pronto ad attaccare e tutti quei pazienti sono un grilletto che lo aziona, ricordandogli che lui per sempre sarà comunque uno di loro. Daniele è un Virgilio che accompagna le anime perse dentro quei gironi a volte strazianti, ferini, a volte tutto il contrario.
Tutto chiede salvezza 2: gli altri come specchio e come ricordo del bagaglio emotivo che ci si porta dentro
Parafrasando la serie, tutti chiediamo salvezza, Daniele e gli altri lo chiedono un po’ di più perché dentro qualcosa li devasta e li rende animali in gabbia o involucri vuoti, in attesa che l’onda/lo tsunami/l’incendio li abiti e poi passi. Non sempre però scorre e fluisce, anzi, a volte è talmente ingestibile da farsi insopportabile diventando marchio limitante (per gli altri, per la società, per tutti). Per questo ci sono i medici, gli infermieri e la cura che leniscono le ferite ancora purulente, asciugano le lacrime, diventano famiglia perché, quando si vivono certe cose insieme si è una famiglia. Daniele ritrova, come colleghi questa volta, Pino (Ricky Memphis), Rossana (Bianca Nappi), Alessia (Flaure BB Kabore), il dottor Mancino (Filippo Nigro) e la dottoressa Cimaroli (Raffaella Lebboroni) ed è chiaro che anche loro proprio come i pazienti vivono le loro piccole e grandi guerre quotidiane, anche loro devono fare i conti con ciò che è stato e con ciò che sono stati.
Tutti siamo e possiamo diventare vittime di noi stessi, nemici di noi stessi e quindi anche degli altri. Daniele oltre a mantenere i rapporti con i suoi ex compagni, incontra anche i nuovi pazienti e, come era successo nella prima stagione, lo costringono a riflettere su di sé, sulla sua esistenza, sul suo eccesso di empatia verso il dolore degli altri e rischiano di farlo deragliare di nuovo. Matilde (Drusilla Foer, meravigliosa ed elegantissima anche nel tormento), Armando (Vittorio Viviani), Rachid (Samuel Di Napoli) e Paolo (Marco Todisco) sono i nuovi protagonisti, ciascuno con il proprio vissuto e con il proprio dolore. Loro saranno compagni ma anche specchi, sono anime che odiano ma anche che sanno amare e che non si tirano indietro mai. Splende Matilde, interpretata da Drusilla Foer che porta in scena una donna complicata con un bagaglio emotivo e di vita complesso da cui è difficile salvarsi. Matilde è una pietra piena di concrezioni naturali meravigliose, non è sempre facile coglierle, non è semplice capirla e per Daniele sarà una battaglia.
Per certi versi Mario e Matilde hanno lo stesso valore nel viaggio dell’eroe di Daniele, come Mario gli ha insegnato a guardare dentro di sé nel primo capitolo, in questo secondo Matilde dà modo a Daniele di capire le proprie ombre e oscurità.
Tutto chiede salvezza 2: il racconto della salute mentale, un tabù ancora per molti
L’occhio di Bruni è tenero e spietatamente reale, anche quando il mondo “onirico”, i pensieri, i bisogni, bussano alla mente degli spiriti del reparto, accompagna il viaggio di Daniele, ma anche quello di tutti gli altri e perfino degli spettatori, ciascuno con il proprio travaglio. Fa male sì Tutto chiede salvezza perché le cose profonde, i sentimenti che arrivano dal profondo, dai luoghi di cui forse nemmeno si conoscono i confini e il centro, strappano la pelle, arrivano alle ossa. Fa male Tutto chiede salvezza perché la salute mentale è qualcosa di cui la società, la politica dovrebbero occuparsi, sempre. Fa male Tutto chiede salvezza perché è come quei sentimenti e quelle relazioni che sono difficili, laceranti ma che dopo averle rimesse a posto e aver superato l’onda, fanno tornare a respirare. Tutto chiede salvezza diventa anche una carezza, un abbraccio che rimette al mondo, la frase sussurrata utile per rialzarti. I cinque episodi fanno urlare, piangere, sorridere e intenerire; c’è ogni cosa perché così è la vita dei personaggi.
Le parole di Bruni, Mencarelli, Gambaro sono lame che affondano nelle carni di chi guarda, di chi conosce l’argomento e di chi non lo conosce, di chi, empaticamente, si mette nei panni di tutti i Daniele del mondo, di tutti i Madonnina, di tutte le Matilda che stanno cercando di accarezzare e calmare quel puntino oscuro che può diventare una voragine, che nella testa batte e pulsa fino a non far sentire nient’altro.
Tutto chiede salvezza 2: valutazione e conclusione
Tutto chiede salvezza 2 parla all’essere umano con un linguaggio semplice, senza troppi orpelli e appoggiandosi sui suoi attori che danno prova di un talento e di una sensibilità senza eguali – primi fra tutti Cesari e Drusilla Foer che qui interpreta un personaggio nuovo al pubblico televisivo, abituato a vederla, dolce e pungente, sempre perfetta ed elegantissima, educatissima e rigorosa anche nell’ironia -, di qualcosa di estremamente profondo e difficile da trattare diventando spesso sbagliando un tabù. I cambiamenti ci sono – la serie si discosta dal libro di Mencarelli che continua a lavorare però alla sceneggiatura – ma lo spettatore li comprende e li assimila bene. Durante i cinque episodi chi guarda vive tutto ciò che vivono i personaggi, assiste alla disperazione e ai drammi di chi è nella tempesta, anche quando si comportano in maniera terribile, anche quando compiono gesti odiosi. Il disagio e la malattia mentale vengono mostrati come se si trattasse di una gamba rotta, di un braccio fratturato, di una bruciatura a causa di un’ustione, ciò che turba e ha turbato Daniele e tutti gli altri ha la stessa dignità, la stessa importanza di qualunque altra questione medica. Quei “matti da slegare” di Basaglia sono qui ripresi in tutta la loro potente umanità e, a tratti, tragica bellezza e ancora, come diceva Nietzsche, viene mostrato l’umano troppo umano di ciascuno di noi.
Tutto chiede salvezza è una poesia potente, un canto in cui sono racchiuse tutte le emozioni e tutte le reazioni, gioia e dolore, riso e pianto, rabbia e quiete. Ha un grande pregio Tutto chiede salvezza quello di far sentire lo spettatore parte di qualcosa, un dramma a volte, un racconto tenero altre, ma anche quando lo strappo è lancinante si partecipa come se si fosse lì.