Two Weeks to Live: recensione della miniserie Sky con Maisie Williams

Pregi e difetti in Two Weeks to Live, la miniserie uscita su Sky e NOW con Maisie Williams nel cast.

Dopo più di un anno dall’uscita in patria (Regno Unito), arriva in Italia dal 26 dicembre 2021 su Sky e NOW, Two Weeks to Live, una miniserie in sei episodi prodotta da Sky UK e HBO Max. Trainata da Maisie Williams (una delle protagoniste più amate di Game of Thrones, Arya Stark), la serie si annovera nel genere del dramedy e thriller: tra drammi e risate, ha luogo una scorribanda di azione e presunta suspense a colpi di pistole e coltelli.

Di cosa parla Two Weeks to Live?

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La trama è semplice: Kim è una ragazza cresciuta nel bosco, assieme alla madre e privata del padre da un misterioso assassino. Tina, sua madre, che è portata sullo schermo da Sian Clifford, ha cresciuto la figlia in totale isolamento, temprandola a una vita difficile di caccia e solitudine ed educandola a un mondo che è sempre sull’orlo del collasso, pronto a finire per gravi catastrofi o guerre. Tuttavia, lo spirito libero che si cela dentro Kim guiderà la ragazza verso la libertà, una libertà costituita da una lista di cose da fare: prima fra tutte, vendicare il padre. Una volta in viaggio, la ragazza conoscerà due fratelli: Nicky (Mawaan Rizwan) e Jay (Taheen Modak). Questi, per giocare sulle credenze strambe di Kim, le faranno credere che il mondo finirà entro due settimane – le two weeks to live -, portando la ragazza a mobilitarsi in fretta e furia per i suoi piani.

Una trama così semplice poteva portare la serie principalmente in due direzioni: il capolavoro o il completo disastro. Forse non si è di fronte a un completo disastro, ma il quartiere cui si giunge è sicuramente il medesimo. Sì, l’opera vanta di alcuni pregi di tipo formale, estetico: una ottima fotografia, atmosferica e caratteristica dei luoghi mostrati – boschi, mare d’inverno, Regno Unito -, anche un buon sonoro sicuramente, non discordante con le immagini e con una colonna sonora – seppur ce ne sia poca – piuttosto adatta alla storia e ai personaggi. Tuttavia, è il caso di specificare che sebbene la qualità di fotografia e sonoro vada più che bene, essa rimane una qualità omologata a tutti i prodotti di questo tipo (si badi bene, tipo, non genere): qualsiasi prodotto moderno può vantare, quasi sempre, le stesse caratteristiche tecniche. Di conseguenza, questi elementi non concorrono poi così tanto a elevare il tono del prodotto. Un tono mantenuto sempre basso da un elemento che dovrebbe avere invece un certo ruolo, non per forza centrale ma, si può dire, importante: la sceneggiatura.

Two Weeks to Live: l’ennesima, superflua, serie televisiva?

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La scrittura di Two Weeks to Live è una altalena confusa e spasmodica: che l’effetto sia voluto o meno (ma pare difficile, in tutta onesta, una premeditazione di questa caratteristica), alla fine del giro poco importa poiché, tra una rara (rarissima) risata e momenti di ozio da spettatore (altrimenti leggibile come: lunghi momenti di noia) il risultato finale è confuso. La confusione dilaga e questo perché mancano dei pezzi alla trama e dove non mancano, la gestione di essi è frammentaria e poco limpida, poco narrativa. La debole narrazione della serie viene trainata da momenti comici raffazzonati su modelli archetipici molto in voga sui social, tramite un utilizzo piuttosto smodato di tutte le tematiche che si dibattono quotidianamente – da almeno dieci anni a questa parte – su ogni tipologia di piattaforma social-network. Insomma, la scrittura manca di originalità. Originalità che manca anche sul piano dell’identità della serie: tutto sembra statunitense. L’utilizzo dell’espressione Coast, tipico del linguaggio statunitense, la casa nel bosco – cabin in the woods – e altri elementi come, ad esempio, la tavola calda sulla strada che vediamo all’inizio (e non solo) della serie, fanno pensare a un prodotto tipico degli Stati Uniti e non a una storia ambientata nel Regno Unito.

Sicuramente il target è giovane, visti i contenuti narrativi già molto presenti nelle serie televisive per adolescenti prodotte da Netflix e Prime Video; tuttavia non può essere questa, per ciascuna nuova uscita – anche se questa non è certamente nuova -, la giustificazione alla assoluta omologazione e vacuità dei contenuti. Non basta, al fine di ottenere un buon prodotto televisivo, mescolare in un calderone tutti i buoni argomenti del nuovo millennio. Bisognerebbe, in prima istanza, concordare un testo che sia coerente. In questa miniserie (di cui non v’è alcuna certezza circa un seguito) il significato del titolo e ciò che narrativamente farebbe prevedere (ovvero: due settimane per vivere e completare le cose da fare) viene quasi bruciato nel primo episodio, lasciando dietro di sé una scia che rasenta l’invisibilità, portando la trama verso altri lidi. Dopo qualche episodio viene a mancare la suspance da fine del mondo di cui è stata creata l’illusione nello spettatore: latita così l’aspetto che in partenza era centrale della miniserie. Non che scompaia l’argomento del mondo in crisi, ma nemmeno mantiene il tono esplosivo descritto dal titolo e dalla trama: costituisce, ciò, un problema non indifferente in ultima analisi. Pochi i momenti realmente comici che, quando arrivano, lasciano comunque contento e divertito lo spettatore; tuttavia, questi sono più merito delle capacità attoriali delle due protagoniste, Maisie Williams e Sian Clifford, realmente ottime nel ruolo della comicità cinica e disillusa.

Una miniserie da guardare, forse, solo per passare il tempo. Tuttavia, nulla esclude che, all’arrivo di una ipotetica seconda stagione, quelli che in questa prima sembrano errori si rivelino invece solo un preludio a qualcosa di migliore.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.4