Un inganno di troppo: recensione della miniserie Netflix
Nuova trasposizione seriale da un romanzo targato Harlan Coben. Su Netflix dal 1° gennaio 2024 l’adattamento del libro del 2016 dello scrittore americano, Un inganno di troppo.
Harlan Coben non avrebbe bisogno di presentazioni, ma per chi non lo sapesse è uno degli autori di gialli e thriller tra i più acclamati in circolazione. I suoi romanzi, oltre una trentina, sono stati tradotti in ben 45 lingue, vendendo più di 75 milioni di copie in tutto il mondo. Una piccola parte di essi sono diventati o hanno ispirato pellicole per il grandi schermo (tra cui il pluripremiato Non dirlo a nessuno di Guillaume Canet), molti altri si sono trasformati in serie e miniserie di successo, alcune delle quali entrate nel catalogo di Netflix, a cominciare da The Stranger. L’adattamento del best seller omonimo del 2015 ha rappresentato il primo passo di un importante patto stretto nell’agosto del 2018 tra lo scrittore di Newark e il broadcaster a stelle e strisce, secondo cui 14 dei suoi libri verranno sviluppati in altrettante serie o film, con lui stesso impegnato nelle vesti di produttore esecutivo. Un contratto, quello siglato tra le parti, piuttosto unico nel suo genere, poiché implica anche l’adattamento nei singoli paesi dove il colosso dello streaming desidera produrre i propri titoli. Ecco allora che la Gran Bretagna ha fatto da cornice alla trasposizione seriale di Un inganno di troppo (Fool Me Once), le cui pagine sono diventate quelle degli script degli 8 episodi (della durata variabile dai 40 ai 50 minuti) della miniserie firmata da Danny Brocklehurst per la regia di David Moore e Nimer Rashed, rilasciata il 1° gennaio 2024. Show, quello tratto dall’opera omonima del 2016, che cifre alla mano portano il numeratore a 7 sui 14 complessivi previsti dal contratto tra Coben e Netflix.
Un inganno di troppo è il settimo adattamento seriale targato Netflix di un best seller di Harlan Coben
Se nel precedente Fidati di me (Hold Tight) per clausole contrattuali l’ambientazione originale dagli Stati Uniti è stata spostata in Polonia, per Un inganno di troppo dalla collocazione originale in New Jersey si ritorna come per The Stranger e Stay Close su territorio britannico per assistere all’evolversi dell’intricatissima vicenda che ha come protagonista Maya Stern. Si tratta di un ex capitano dell’esercito che si trova di fronte a un’immagine scioccante catturata da una microcamera nascosta in un baby monitor posizionato nella cameretta della figlia di due anni, che mostra la bambina interagire con il padre nonché marito della donna Joe Burkett, assassinato brutalmente solo poche settimane prima. Parallelamente le autorità incaricate del caso guidate dal sergente Kierce conducono le indagini sull’omicidio dell’uomo e della sorella di Maya, anch’essa uccisa nel corso di una rapina a qualche mese di distanza. I due casi sono collegati? Ovviamente per chi non avesse letto il romanzo, lasciamo alla visione della miniserie il compito di svelare l’arcano, ma una cosa è certa: in questa storia, le apparenze continuano a ingannare e come in ogni giallo che si rispetti che porta la firma di Coben i tasselli del mosaico mano a mano trovano il loro posto, riportando a galla scomode verità troppo a lungo nascoste.
Bugie da nascondere, vizi da coprire, illeciti morali e misteriosi omicidi sono gli ingredienti alla base della trama di Un inganno di troppo
Quei lettori che da tempo hanno dimestichezza con le pagine dello scrittore americano non faranno fatica a rintracciare nell’adattamento seriale di Un inganno di troppo il medesimo modus operandi presente nelle altre opere. Le regole d’ingaggio quindi restano le stesse anche per le trasposizioni, con gli abbonati a Netflix che potranno rintracciarle anche in questa occasione. In tal senso, la situazione iniziale è simile per tutti i titoli: si parte sempre da una condizione tranquilla, familiare, dove la vita scorre serenamente, almeno fino a quando accade qualcosa che fa manda tutto in frantumi. In tutte le serie tratte dai libri di Coben, compresa questa, è presente uno spiccato gusto per le sorprese, i colpi di scena e i capovolgimenti di fronte: twist narrativi che, episodio dopo episodio, danno allo spettatore la consapevolezza che ogni personaggio abbia i propri segreti e che raramente le persone siano esattamente quello che sembrano. Il risultato è un deposito di cadaveri e scheletri nascosti negli armadi, con tutte le figure chiamate in causa che hanno bugie da nascondere, vizi da coprire, illeciti morali e, soprattutto, un motivo per avere ucciso lo scomparso che, peraltro, si rivela diverso da come lo avevamo conosciuto inizialmente. Un inganno di troppo non fa eccezione, motivo per cui chi ha gradito le precedenti trasposizioni avrà altro pane per i propri denti.
Negli episodi conclusivi la serie cambia passo e sale di tensione
I meccanismi mistery messi in atto da Corben e riproposti dallo showrunner Brocklehurst funzionano. Ogni fine episodio ha il suo cliffhanger piazzato efficacemente che fa venir voglia di vedere subito il successivo. Il ché è un fattore positivo quando si parla di prodotti seriali. Un inganno di troppo da questo punto di vista regge piuttosto bene, molto meglio di Estate di morte o Suburbia Killer. Così come a reggere è anche l’intreccio thriller, decisamente più solido e credibile, nonostante qualche svarione e forzatura che lo fa vacillare. L’architettura del racconto riesce a supportare le due indagini che animano il plot, sia quella ufficiale che l’altra clandestina, con la prima portata avanti dalla polizia e la seconda dalla protagonista, che finiranno con il convergere sino a portare alla luce più verità scomode. I personaggi principali si avventurano in una caccia che rivela segreti che cambieranno le loro vite in modo irreversibile. Il grosso però avviene al passaggio della boa del quarto episodio, quando finalmente ci troviamo a metà strada e Un inganno di troppo si trasforma radicalmente, caricandosi di tensione e cambiando passo. Il racconto in tal senso inizia a mutare ritmo, rallentando e dando più spazio allo sviluppo delle dinamiche, le stesse che nei capitoli iniziali andavano a doppia velocità per confondere le acque, depistare e gettare fumo negli occhi dello spettatore di turno. Dunque è nella seconda parte, grazie a una drastica mutazione, che questa miniserie acquista forza, quella che in altre trasposizioni era venuta meno per svariati motivi. E stavolta in soccorso arrivano anche delle convincenti interpretazioni, come quella di Michelle Keegan nei panni di Maya. La sua come le altre performance dei colleghi di set (tra cui Adeel Akhtar e Richard Armitage) consentono alla messinscena e ai dialoghi di non perdere di credibilità, che si sa quanto sia importante per un thriller.
Un inganno di troppo: valutazione e conclusione
La miniserie tratta dal romanzo omonimo del 2016 di Harlan Coben è tra le migliori trasposizioni seriali sino ad oggi realizzate dai best sellers dello scrittore americano per Netflix. Un inganno di troppo presenta il medesimo modus operandi e leggi d’ingaggio che hanno fatto la fortuna del suo autore, con gli episodi conclusivi che consentono allo show di alzare l’asticella in termini di tensione e consegnare agli amanti dei thriller vecchia scuola degli sviluppi coinvolgenti che cambieranno drasticamente tutte le carte in tavola e la natura dei personaggi. La confezione, compresa quella fotografica e registica, alternano scene dal respiro più cinematografico ad altre più sottotono e di stampo televisivo. Stesso discorso per la componente sonora. Diverso il discorso per le performance attoriali, convincenti dal primo all’ultimo episodio, tanto da mostrare con chiarezza ed efficacia la mutazione genetica e il percorso di trasformazione e rivelazione nella natura dei personaggi principali.