Un’altra verità: recensione della miniserie di Canale 5
Confusionaria e frenetica, Un'altra verità racconta un mistero che non convince.
Nelle ultime settimane, in tre prime serate su Canale 5, il pubblico italiano ha potuto vedere la miniserie franco-belga Un’altra verità, ideata da Bénédicte Charles e Olivier Pouponneau e diretta da Frédéric Berthe. Protagonista Camille Lou, che interpreta Audrey, una donna costretta a rivivere il trauma dell’incontro con un serial killer a cui 16 anni prima è sopravvissuta. Un nuovo omicidio sembra rimandare infatti a quell’assassino, Itsas. Tutti i sei episodi della miniserie ballano continuamente, grazie a flashback e flashforward, tra i fatti accaduti alla giovane Audrey – il suo incontro con il serial killer, le indagini e un segreto che non ha voluto rivelare alla polizia – e quelli che invece succedono nel presente, dove una Audrey ormai adulta – fa l’avvocatessa e si è trasferita a Parigi, lontano dal luogo in cui anni prima era avvenuto l’omicidio – decide di tornare indietro, “a casa”, per dare la caccia all’assassino e chiudere per sempre la faccenda. Questi, in estrema sintesi, gli eventi che muovono la trama di Un’altra verità.
I problemi dei salti temporali in Un’altra verità
Il problema della miniserie è stato la sua realizzazione. Se la sceneggiatura risulta discretamente (discretamente, ma nulla più) scritta, dà tuttavia l’idea di funzionare maggiormente come testo rivolto alla lettura più che alla messa in scena cinematografica o televisiva. Prendiamo, ad esempio, i continui salti temporali avanti e indietro tra 2003 e 2019: quanti sono e quanto sono frequenti? Finiamo per non capirci più niente, ci confondiamo, le due epoche si fondono tra loro e di certo non aiuta il fatto che – probabilmente per mancanza di budget – la maggior parte degli attori e delle attrici interpretano anche le proprie ‘versioni più giovani’ con appena un po’ di trucco o con qualche camuffamento piuttosto ridicolo.
Frenesia registica e scelte musicali incomprensibili
Incomprensibile risulta poi la scelta musicale, una compilation simil-techno noiosamente tambureggiante che non si adatta per nulla ai toni di un prodotto che vorrebbe lasciare lo spettatore continuamente col fiato sospeso. In generale, c’è una certa frenesia, che finisce per informare anche la regia di Un’altra verità. Nelle scene più animate – che pure non sono tantissime – il montaggio è oltremodo convulso e disordinato, quasi come si trattasse di un film d’azione e non di una miniserie noir. E le cose comunque non migliorano nelle scene più tranquille. Sembra quasi un prodotto amatoriale, girato con un cellulare tenuto nemmeno troppo saldamente in mano. Si arriva insomma alla fine un po’ troppo stanchi, confusi, senza quell’apice emotivo che dovrebbe precedere il colpo di scena e lo svelamento finale.