Undercover – stagione 3: recensione della serie crime Netflix
La nuova stagione della serie crime di Netflix è un miscuglio di pulp, dramma e suspense.
“Due persone con un obiettivo comune possono fare molte cose, due persone con un nemico comune possono farne ancora di più”, afferma Mr. Gold (Robert Carlyle) in Once Upon a Time. Una citazione perfetta per presentare l’impresa poliziesca che è al centro di Undercover: la popolare serie crime belga-olandese creata da Nico Moolenaar, produttore insieme a Jan Theys e a Ivy Vanhaecke. La terza stagione diretta da Joël Vanhoebrouck è disponibile in esclusiva su Netflix dal 10 gennaio. Negli otto nuovi episodi gli appassionati del genere potranno seguire il ritorno da protagonisti dell’agente sotto copertura con i nervi d’acciaio Bob Lemmens (interpretato da Tom Waes) e di Ferry Bouman (Frank Lammers), uno dei più grandi produttori di ecstasy a livello mondiale. E vivere così le vicende di un gruppo di personaggi intrappolati in un’imbrogliata matassa fatta di scambi di favori, di ricatti, di crimini e violenze.
Undercover – stagione 3: nella trama si dà la caccia a un informatore infiltrato fra i poliziotti
Dopo gli eventi della seconda stagione, Bob è stato licenziato dal dipartimento di polizia e ora rischia una condanna in prigione, mentre Ferry è stato appena rilasciato dal carcere e tenta – senza successo e ripartendo da zero – di reinserirsi socialmente. Quest’ultimo scopre intanto che il suo vecchio posto da leader del traffico di ecstasy è stato preso da una nuova gang forte e scaltra guidata dalla coppia turca Serkan Bulut (Murat Seven)/ Leyla Bulut (Nazmiye Oral).
Il primo snodo importante per l’avanzamento della narrazione è legato alla presenza di un informatore infiltrato tra i poliziotti; un giallo che spinge Patrick Diericks (Jeroen Van Der Ven) a rivolgere una pericolosa proposta all’ex-poliziotto Bob Lemmens, realizzando così l’antica pratica dello scambio di favori. Diericks grazie ai suoi contatti potrebbe infatti far sparire la causa legale, se Bob tornasse sotto copertura per aiutarlo, infiltrandosi nella gang di Serkan al fine di smascherare la talpa che trasmette di continuo informazioni al gruppo di trafficanti turchi. A questo punto Bob accetta. Poi, essendo venuto a conoscenza dello stato di libertà vigilata di Ferry Bouman, chiama proprio Ferry per smantellare la nuova rete criminale turca. Dunque l’ex-poliziotto e l’ex-detenuto sono chiamati a collaborare per combattere un nemico in comune. Ma quanto potrà effettivamente durare “l’armistizio” fra Ferry e l’uomo che a suo tempo l’ho ha mandato in galera? E chi sarà l’informatore segreto?
Nella terza stagione di Undercover la scena è tutta di Ferry Bouman, che intrattiene con il suo talento
Nelle otto puntate viene snocciolata quel tipo di storia che ci incolla a scoprire il colpevole attraverso un miscuglio di dosi pulp, dramma e suspense. Questa volta si seguono i protagonisti diventati più vulnerabili, ma anche più maturi e consapevoli, come il personaggio di Ferry Bouman (il più interessante con il suo “bel” background) a cui vengono affidate le battute migliori. Promosso ormai a effettivo protagonista anche grazie alla seconda stagione. Noi di Cinematographe pensiamo che la serie non aggiunga nulla di nuovo al genere, perché mostra sul piccolo schermo un gioco che è sempre lo stesso: talpe, indagini, e vecchi rancori, ma anche conti in sospeso, giochi intimidatori e violenze. Ma dobbiamo riconoscere che Undercover si lascia ben vedere e continua ad intrattenere senza farci assistere a cadute di ritmo. La serie tv vince al gioco dell’equilibrista, e lo fa in stile belga e con divertito gusto per i meccanismi del coinvolgimento. Con una scena che è tutta di Ferry: quest’omone, un eroe-antieroe, che con il suo “unico” talento (quello di saper negoziare), e col suo vissuto fatto di storie finite male, e di altre finite molto molto male, riesce persino a farci intenerire.