Uno scandalo molto inglese: recensione della miniserie su Fox Crime
In Italia su Fox Crime dal 23 novembre 2018, la miniserie in 3 episodi punta molto sull'interpretazione di Hugh Grant, giocando molto su ritmi serrati e giocosi e lasciando trasparire l'ipocrisia inglese.
Quando, in un elegante club londinese, il parlamentare liberale Jeremy Thorpe (un formidabile Hugh Grant), dandy dall’impeccabile capigliatura lambiccata, riceve la sua bistecca alla tartara, il collega Peter Bessell sta ripercorrendo le sue gesta giovanili di amatore onnivoro, con una predilezione, sbilanciata approssimativamente all’80%, per i rapporti eterosessuali e una percentuale minore di inclinazione omosessuale. Thorpe comprende che il codice cifrato è stato sbloccato e può ora confidarsi senza filtri al suo fedelissimo: anche lui, confessa, non disdegna la frequentazione “dell’altra sponda”, ma, per quanto lo riguarda, il rapporto è capovolto a favore delle relazioni omoerotiche. Comincia così, con una certa leggerezza glam, Uno scandalo molto inglese, miniserie targata BBC e diretta da Stephen Frears, cineasta prolifico ed esperto che i più ricorderanno soprattutto per l’acclamato Philomena e il più recente Victoria e Abdul.
Uno scandalo molto inglese: uno studio sull’ipocrisia e il conformismo
Lo show prosegue, con il ritmo serrato e giocoso dell’operetta buffa, allestendo vorticosamente le tappe di una passione bruciante, ma comunque consumata con una certa nonchalance: quella tra Thorpe e il giovane scudiero e poi modello Norman Scott (Ben Whishaw), destabilizzato da un tribolato passato di ricoveri psichiatrici e un manifesto quanto irrisolto squilibrio mentale. L’iniziazione sessuale del secondo da parte del primo è inizialmente fonte di godimento furtivo e, poi, pretesto di estorsione e ritorsione: Uno scandalo molto inglese ricostruisce, con precisione storica, il clamore, prima tacitato e poi esploso, che coinvolse il leader del partito liberale inglese quando il suo ex amante cominciò a divulgare i particolari della loro relazione illecita. Negli Anni Sessanta, in Inghilterra, i rapporti omosessuali erano illegali e a poco valse il matrimonio ‘riparatore’ che Thorpe si affrettò a contrarre nel 1969 per sviare l’attenzione dal polverone sugli scheletri della sua vita privata: la sua popolarità cominciò presto a declinare e la sua carriera politica venne condannata senza appello all’archiviazione e all’oblio.
Basato sul romanzo omonimo di John Preston, che rilegge narrativamente quella pagina di storia inglese segnata dalla morbosità, dal bigottismo e altresì dalla totale assenza di scrupoli (Thorpe, pare, tentò di uccidere il suo ex amante), Uno scandalo molto inglese, fin dalla prima puntata, dichiara con cristallino vigore i suoi intenti: l’oggetto principale della sua vivisezione non è l’affair amoroso tra due uomini di diversa estrazione sociale, quando amarsi, tra uomini, era proibito dalla legge, né tantomeno il cadavere di un fenomeno politico e i suoi precedenti tentativi di sopravvivere all’agonia e alla fine, bensì un più astratto quanto tentacolare vizietto britannico, quello dell’ipocrisia e del conformismo, peccati originari dei sudditi di Sua Maestà, che tutto sacrificherebbero, con cinismo e amoralità senza pari, perché mamma non sappia, o perlomeno non sia costretta a non sapere, che l’adorato figliolo educato a Eton ha un debole per i ragazzi.
La grandezza di Hugh Grant, interprete sottile di un’umana amoralità
Hugh Grant, nella parte di Thorpe, si conferma un attore di rango, restituendo una prova di assoluta credibilità, disturbante quanto basta: la spregiudicatezza del suo personaggio, ben nascosta dietro le maniere più squisite, emerge con una sottigliezza che un altro interprete, di minor levatura, non avrebbe saputo comunicare con la stessa millimetrica perfezione. Non si celebra mai abbastanza il talento e la versatilità di questo attore londinese che, quasi alla boa dei sessanta, continua, tra teatro, cinema e televisione, a incarnare con estrema sensibilità la fallibilità umana nelle più varie stratificazioni, dalle espressioni più tenere alle più spregevoli cadute. Ben Whishaw, l’amour fou divenuto nemesi, ugualmente aderisce come un guanto ad un personaggio vulnerabile, che, non si comprende fino a che punto con calcolata malignità, si trasforma magistralmente in implacabile aguzzino.
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