Utopia: la recensione della serie Amazon
Lontano dall'originale inglese, ma sempre pieno di complotti e misteri.
Ci sono progetti molto attesi, uno di questi è Utopia, il remake americano a cura di Gillian Flynn (Gone Girl e Sharp Objects), basato sull’omonima serie Tv britannica creata da Dennis Kelly nel febbraio del 2013, arrivato su Amazon Prime Video il 30 ottobre 2020. Utopia è un conspiracy thriller in otto episodi che si ispira alle vicende del gruppo di personaggi che gira intorno a dei giovani appassionati di fumetti, Ian (Dan Byrd), Becky (Ashleigh LaThrop), Samantha (Jessica Rothe), Wilson Wilson (Desmin Borges) e Grant (Javon “Wanna” Walton). I cinque si sono conosciuti online perché fan del fumetto, apparentemente di finzione ma che si è rivelato realtà. C’è un interrogativo che, a poco a poco, si fa martellante riusciranno i nostri eroe a salvare il mondo e l’umanità? Difficile dirlo.
Utopia: una pandemia che ci porta ai tristi giorni dell’oggi
L'”Utopia” del titolo, come aveva fatto “Dystopia” con Ebola e Sars, è un fumetto che profetizza con il suo racconto in cui c’è un cattivo soprannominato Mr. Rabbit, che apre mondi fatti di complotti, manipolazioni genetiche, virus, violenze indicibili. Ogni cosa diventa più difficile nel momento in cui i riferimenti all’interno del testo riportano i personaggi alla realtà. Mentre in Utopia ci sono genitori, nonni, fratelli che contestano chiedendo a gran voce i vaccini per salvare i loro piccoli, negli Stati Uniti la vera folla urla il suo dissenso in maniera così esasperata arrivando a scontri e violenze.
Tutto ha inizio quando una giovane coppia ritrova “Utopia”, il sequel di “Distopia”, che attraverso inquietanti disegni manda messaggi a chi la legge sul pericolo che incombe e mette all’asta il fumetto durante il Fringe Con, celebre festival. Lì, cinque ragazzi e due uomini crudeli che fanno parte di una oscura organizzazione di nome Harvest, decidono di partecipare per avere “Utopia”. Così inizia la serie che si apre ad una corsa contro il tempo senza fine che diventa ancora più complessa quando dal nulla appare Jessica Hyde (Sasha Lane), protagonista del fumetto “Dystopia”, che diventa la leader indiscussa del gruppo.
Utopia si mostra ancora cattiva, una “brutta” barzelletta grottesca che fa a pugni con la realtà dei nostri giorni quanto mai dolorosi. Utopia è straniante e straziante perché parlare di un virus che stermina la popolazione (o meglio i bambini) proprio in questo periodo sembra uno schiaffo in piena faccia. La serie assume un significato fortissimo in questa stagione pandemica, in un momento in cui mancano certezze, vie d’uscita, salvezze; e dunque se l’Utopia britannica aveva un senso quando è uscita nel 2013 ne ha un altro oggi nella versione americana.
Utopia: Jessica Hyde, protagonista selvaggia e guerriera
Utopia è un testo a tratti brutale, spesso violento, a tratti sgradevole, addirittura nichilista; lo è perché l’uomo e la donna della serie si sentono persi, spaesati, presi in giro, mancanti di un punto fermo a cui aggrapparsi per non soccombere. Quando i più piccoli, il futuro, muoiono, quando la scienza non aiuta il paziente, non c’è spazio, sembra dirci la serie, per la comprensione, per l’attesa. Tutte le istanze, tutte le urgenze vengono versate e riversate in una protagonista selvaggia e respingente, Jessica Hyde, interpretata da Sasha Lane, un animale brutale e brusco, un felino che attacca perché incapace di dialogare, comprendere l’altro per timore di essere ferito.
Jessica è chiusa, un’istrice che tira fuori gli aculei per salvarsi da un mondo che l’ha maltrattata, è un carattere ambiguo, complesso, non si sa quanto lo spettatore possa fidarsi di lei, non si scopre mai né con noi né con gli altri, fino ad un certo punto non parla neppure con i suoi compagni d’avventura perché per lei la comunicazione è un di più. La sua lingua sono le mani, i piedi che usa come una guerriera. Lei sa essere brutale, crudele, ammazza senza avere rimorsi, è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e gli altri possono solo accettare lei e il suo modo di reagire alle cose. La donna, una bambina che ha tanto sofferto – emergono dai ricordi, dai fumetti, dai segni sulla pelle il suo passato, la sua infanzia che è anche quella di molti altri bambini come lei -, è metafora della serie stessa: come dietro a lei c’è un dramma molto più profondo di quanto già sembri, così dietro alla superficie, dietro al sangue, alle torture, alla morte, c’è un buco nero in cui cadono tutti. Jessica Hyde diventa una sorta di Alice alla ricerca del suo personale Bianconiglio, una versione dark, sanguinaria e sanguinolenta che parla alle viscere e alle menti. Il dramma di Jessica si trasforma prima in quello dei suoi fan/compagni poi in quello dell’intera America, in ginocchio, spaventata, una madre che non sa come salvare i propri figli.
Utopia: una serie a tratti sgraziata che manipola la verità
Gli otto episodi mostrano torture, sevizie, una violenza insopportabile che conflagra all’improvviso e i pubblici di tutto il mondo rimangono spaesati, come succede anche al pubblico della serie. Gli occhi enucleati, le unghie strappate che nascondono messaggi utili solo a chi sa codificarli, le teste che saltano sono ingredienti di un prodotto che smuove emozioni forti, tanto quanto la manipolazione delle notizie, della verità, delle cose per azionare uno spettacolo dopo il quale la società non sarà più la stessa. Con un ritmo veloce e incalzante, Utopia si fa a tratti sgraziato, però ti irretisce e ti porta nella tana di quel famoso coniglio tanto ricercato da Jessica. Mentre si corre, si scappa, si insegue, la narrazione si apre illuminando il palcoscenico con colpi di scena che si intrecciano gli uni agli altri, fino ad finale aperto, complesso che fa pensare che, come nell’Utopia britannica, ci sarà una seconda stagione. La serie allenta la tensione e poi la riprende non lasciando mai in pace lo spettatore che si sente in balia della storia.
Utopia: il lato oscuro della storia
Dall’altra parte della barricata c’è Kevin Christie, interpretato da John Cusack che dà corpo ad un uomo arrogante, un magnate di un’industria farmaceutica senza scrupoli. Sembra una persona buona, impegnata nella lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico ma in realtà nasconde una natura mefistofelica; è interessante che sia proprio Cusack a incarnare questo personaggio perché da tempo si batte per una maggior chiarezza della comunicazione, rifuggendo dalla manipolazione del pensiero collettivo, biasimando chi crede di avere in mano la verità e invece segue falsi “miti”. Il Velo di Maya lungo gli episodi cade e il Re è nudo: Kevin Christie si mostra per quello che è, un Mostro dal volto normale, una persona qualunque che invece cela una natura folle e inquietante.
Rainn Wilson veste i panni di un medico che sta sviluppando un vaccino per combattere la misteriosa pandemia che si espande in alcune città americane. Nonostante la sua natura alquanto fragile e disturbata, si spende per salvare la popolazione e fa di tutto per trovare un vaccino.
In questa serie è difficile amare profondamente i personaggi perché sono spaventosi, allontanano, eppure grazie al fumetto riusciamo a capirli, a comprenderli, scorgendo le ferite più profonde di ciascuno di loro.
Utopia: poteva dare molto di più ma comunque sa come smuovere le emozioni
Il remake statunitense segue molto l’originale pur non avendo in toto la forza del primo – i personaggi sono quelli (cambiano perlopiù etnie, fisionomie), le tappe sono molto simili -, racconta una storia che spaventa, inquieta perché si comprende che nulla è come sembra, eppure c’è qualcosa che non permette di perdersi a pieno. Utopia fa emergere il dramma, scuote sicuramente le coscienze facendo scorgere controluce un mondo talmente brutale, spietato, terribile da inquietare e paralizzare. La serie però non riesce a conquistare a pieno il pubblico ma sicuramente ne smuove emozioni, interrogativi, paure.