Vendetta: Guerra nell’antimafia – recensione della serie Netflix sullo scontro Maniaci-Saguto
Una docu-serie sul famoso scontro tra il giornalista Pino Maniaci e il magistrato Silvana Saguto.
Per Vendetta: Guerra nell’antimafia Netflix assolda uno stuolo di autori – Ruggero di Maggio, Davide Gambino, Nicola Moody, Jane Root, David Herman – per ricostruire le fasi del lungo scontro tra due paladini dell’antimafia: il giornalista Pino Maniaci e il magistrato (oggi ex) Silvana Saguto.
Come in SanPa, grande successo della stagione invernale, anche in questo docu-film in sei episodi, disponibile dallo scorso 24 settembre, l’attenzione è rivolta all’ombra che si addensa sul capo degli eroi: un uomo e una donna parimenti impegnati nella lotta alla mafia attirano su di sé il sospetto di non essere esemplari quanto sembrano, ma anzi di utilizzare la loro posizione di potere – mediatico e giudiziario – per ricavare vantaggio personale da quello stesso sistema criminale che apparentemente intendono contrastare con gli strumenti della loro professione. Tra i due, soltanto uno riesce infine a difendere la sua reputazione.
Vendetta: Guerra nell’antimafia – Chi è Pino Maniaci?
Il primo, Pino Maniaci, è un giornalista senza titolo, ma dotato di inesauribile passione per l’inchiesta e di una verve vulcanica: nel 1999 ha rilevato dal fallimento l’emittente televisiva privata Telejato, che ha sede a Partinico, nell’area metropolitana di Palermo.
In breve tempo, anche grazie alla sua determinazione, nonché alla parlantina sciolta e spesso sboccata, è riuscito a conquistarsi la fiducia di un pubblico sempre crescente, divenendo, in territorio palermitano e nelle aree limitrofe, figura di riferimento per la lotta alla malavita e la rieducazione alla legalità.
Occorre precisare che Telejato copre un bacino d’utenza ad alto tasso di presenza mafiosa: le località raggiunte comprendono, infatti, i comuni delle province di Palermo, Trapani e Agrigento, quelli in cui l’infiltrazione di organizzazioni criminali è più profonda e resistente. Anche per questo, nel corso delle sue trasmissioni, Maniaci è solito rivolgersi direttamente ai boss: tra i suoi interlocutori silenti, vi è stato a lungo anche Bernardo Provenzano, al quale, durante il periodo di latitanza precedente all’arresto nel 2006, ogni 31 gennaio, giorno del suo compleanno, faceva gli auguri e, attraverso una colorita apostrofe, rinnovava il suo invito a consegnarsi. Maniaci sapeva bene che il capo di Cosa Nostra si era fatto installare un’antenna per seguire i suoi tg e che poteva, per questo, contarlo nel novero dei suoi ‘ascoltatori’ più fedeli.
Chi è Silvana Saguto
Pino Maniaci, tuttavia, non si è limitato a indagare su Cosa Nostra, ma ha ben presto ampliato il suo campo d’investigazione anche all’interno della stessa magistratura impegnata nel movimento antimafia. Nel 2013, in particolare, si è concentrato sull’operato di Silvana Saguto, oggi radiata dall’ordine giudiziario, ma allora presidente dell’Ufficio misure di prevenzione, scoperchiando quella che lui stesso definì “la mafia dell’antimafia”.
La Sagunto, infatti, secondo quanto denunciato da Maniaci, avrebbe assegnato in gestione i territori sequestrati alla mafia a persone a lei vicine o a chi, in ogni caso, fosse stato in grado di recarle diretto vantaggio economico. Il cerchio magico di cui sarebbe stata capo – una fitta rete di profittatori, a lei legati da vincoli famigliari, amicali, professionali o di reciproco favoritismo – è stato definito, dal Tribunale di Caltanissetta, che l’anno scorso l’ha condannata in primo grado a otto anni e sei mesi di reclusione, “un patto corruttivo permanente” che ha creato “danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie” nonché “discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia”.
Lo stesso Pino Maniaci, nel 2016, è incappato in una disavventura giudiziaria: a seguito di una retata che aveva portato in carcere alcuni mafiosi locali, fu accusato di estorsione e di diffamazione. Nell’aprile di quest’anno è, però, stato condannato in primo grado soltanto per il secondo capo d’imputazione, mentre il primo, fin da subito energicamente respinto dai suoi avvocati difensori, è caduto.
Parole d’ordine: precisione, rigore, neutralità
Vendetta. Guerra nell’antimafia mostra, dunque, i differenti momenti in cui le vicissitudini pubbliche e private di Pino Maniaci si sono sovrapposte a quelle di Silvana Saguto, rivelando progressivamente come due personalità ‘ingombranti’ che sarebbero dovute stare dalla stessa parte – la lotta alla mafia – si siano invece ritrovate prima a sfidarsi tra loro e, poi, a sfidare un comune nemico: l’infamia dell’accusa di aver assunto condotte illecite, di aver accorciato la distanza che li separa da quei criminali che entrambi hanno dedicato l’intera vita a ricercare, denunciare, incastrare, inchiodare alle loro responsabilità.
Grazie alle interviste ai protagonisti e alle persone coinvolte a vario titolo nella vicenda, lo spettatore acquisisce tutti gli strumenti utili a farsi un’idea di come siano andate le cose: il lavoro deduttivo spetta rigorosamente a chi segue perché gli autori mantengono una posizione di assoluta neutralità nell’assolvere un compito che paiono intendere in termini più divulgativi che investigativi in senso stretto. La precisione estrema con cui dispongono i tasselli necessari al dispiegamento di quanto accaduto, senza lasciarsi sopraffare dalla tentazione dell’interpretazione o della forzatura scandalistico-moraleggiante, nobilita un’opera che già di per sé possiede grande qualità documentaristica, ed anzi appare come una vera e propria dichiarazione d’amore a un mestiere che è soprattutto un atto d’umiltà di fronte al reale, alle sue complessità irredimibili, alle sue verità per natura opache, le quali, beffardamente fuggitive, sono capaci solo di farsi attendere.