Vikings: Valhalla 3 – recensione della stagione finale della serie Netflix
Vikings: Valhalla conclude la sua narrazione del mondo norreno con la terza stagione, disponibile su Netflix dall'11 luglio 2024.
Scritta e ideata da Michael Hirst e Jeb Stuart, Vikings: Valhalla è stata prodotta dal 2022 al 2024, concludendosi con la sua terza stagione (su Netflix dall’11 luglio 2024, con otto episodi). Sequel spin-off dell’inarrivabile Vikings, la serie ci ha trasportati circa un secolo dopo le avventure della serie madre – prodotta dal 2013 al 2021 per sei stagioni – che vedeva protagonisti il leggendario guerriero vichingo Ragnarr Loðbrók (Travis Fimmel), la shield maiden Lagertha (Katheryn Winnick) e i loro figli. Sin da subito, Valhalla è parsa differente dalla serie originale, sebbene il trasporto nostalgico facesse da traino. Anche in questo caso, a essere narrate sono state le gesta di alcuni dei più noti norreni della storia. Siamo sempre a Kattegat e in Inghilterra, cento anni dopo, mentre le tensioni tra vichinghi fedeli alla religione pagana e i convertiti al Cristianesimo si fanno sempre più forti.
Vikings: Valhalla, la bellezza della Sicilia, di Costantinopoli e dei paesaggi nordici
Nella terza e ultima stagione di Vikings: Valhalla ci troviamo sette anni dopo gli eventi ai quali avevamo assistito nella seconda stagione. Harald Sigurdsson (Leo Suter) e Leif Erikson (Sam Corlett) si trovano tra la Sicilia e Costantinopoli. I due vichinghi e amici lavorano, infatti, da anni per l’Imperatore di Bisanzio Romano III Argiro (Nikolai Kinski), nella Guardia Variaga e sono sempre al suo fianco nella battaglia. Nel frattempo, la sorella di Leif, Freydís Eiríksdóttir (Frida Gustavsson), è diventata il capo di Jomsborg, sta crescendo il piccolo Harald – figlio di Harald Sigurdsson – ed è molto amata dal suo popolo.
Grazie alla storia di Harald e Leif – e a fotografia e scenografie ammalianti – abbiamo modo di apprezzare paesaggi mediterranei da sogno, dalla Sicilia – i nostri protagonisti sono, prima, a Siracusa – alla Turchia passando per la Grecia. Leif – insaziabile di conoscenza – ci porta in luoghi incantevoli tra il blu del mare, il verde della natura e il bianco delle case. Il cambio di ambientazione di Valhalla, adesso decisamente mediterranea, ha dato una marcia in più alla terza stagione che ci dà indietro una freschezza che manca alle prime due stagioni.
Il Cristianesimo e la strada verso la fine dei vichinghi
Al centro di Vikings: Valhalla 3 c’è, comunque, il potere del Cristianesimo che può considerarsi, ormai, indiscusso. Nonostante alcuni vichinghi scelgano ancora la loro fede negli Antichi Dei, durante la cristianizzazione scandinava assistiamo al viaggio verso la fine dell’Era Vichinga. Questa è ormai quasi al termine, ma non la vediamo concludersi con la famosa battaglia di Stamford Bridge – che ebbe luogo nel 1066 – ma, per l’appunto, con il culto cristiano che, poco alla volta, si diffuse a macchia d’olio assorbendo tutto ciò che aveva intorno.
Ancora ferma nella sua fede è Freydís che, dopo aver ucciso Olaf ed essere a capo di Jomsborg, deve fare i conti con la furia del figlio di Olaf: Magnus (Stefán Haukur Jóhannesson), difensore della cristianità. Oltre alle figure realmente esistite di Freydís, Leif e Harald – Harald III di Norvegia – tra miti e vicende della cultura norrena, altro protagonista è Re Canuto il Grande (Bradley Freegard): alle sue ultime battute prima di morire, quest’ultimo prepara la sua Inghilterra a ciò che sarà senza di lui, cercando di evitare che i figli possano uccidersi per la lotta alla successione (ma le cose non vanno come avrebbe voluto).
Vikings: Valhalla: valutazione e conclusione
Vikings: Valhalla non convince al cento per cento e, di certo, non è paragonabile a Vikings per epicità, ma la terza stagione è comunque superiore alle due precedenti. Purtroppo, però, la decisione della cancellazione da parte di Netflix ha messo fine al racconto della conclusione dell’Era Vichinga. Traspare la voglia di raccontare e proseguire la narrazione, ma tutto finisce per sembrare un po’ sbrigativo in un certo senso. Affascinante per le sue ambientazioni, è interessante la narrazione della Chiesa e della sua avanzata inarrestabile con il sangue. L’arco narrativo non viene, però, chiuso come avrebbe dovuto: con la battaglia di Stamford Bridge. Il periodo storico è, senza alcun dubbio, ricco di avvenimenti e avrebbe avuto ancora molto da offrire per giungere a una più naturale conclusione. Vengono lasciati in sospeso vari punti: dalla scoperta della nuova terra da parte di Leif a quella della nuova dimora di Freydís per il suo popolo, così come l’esplorazione di Harald a capo del regno di Norvegia.