Vikings: Valhalla – recensione della serie TV Netflix

Lo spin off della celebre serie tv Vikings narra le vicende di storiche figure vissute durante l'ultimo periodo di prosperità del popolo vichingo.

Una storia secolare, stoica, apparentemente inscalfibile come la dura pietra, quella raccontata in Vikings: Valhalla: quella dei vichinghi è comunemente interpretata come un coacervo di miti, eroici atti di imposizione e innovazione tecnica, identificandosi ancora oggi come una delle più interessanti civiltà che hanno prosperato intorno all’anno Mille. Punto di riferimento simbolico per numerosi narrazioni postmoderne, per via della loro mistica fascinazione, sto stati i protagonisti di una delle più celebri e unanimemente riconosciute serie tv di maggior impatto mediatico. Vikings è un prodotto seriale che si impone per la sua importanza nel panorama audiovisivo per gli scenari cruenti e onirici, che è riuscita a galvanizzare l’attenzione di un pubblico sempre più assorto nel corso delle sue otto stagioni.

Da pochissimi giorni sulla piattaforma Netflix è uscito quello che può essere considerato il sequel ideologico delle avventure di Ragnar: Vikings Valhalla racconta in 8 episodi gli avvenimenti all’ultimo periodo storico del popolo vichingo, scavalcando di 100 anni gli avvenimenti della serie madre. Creato e scritto da Michael Hirst e Jeb Stuart ( Trappola di Cristallo, Il fuggitivo), Valhalla si presenta come un connubio realisticamente riuscito tra avvenimenti storici e figure emblematicamente riconoscibili e vicende narrative finzionali, supportati però da una valenza di veridicità registica e caratteriale dei personaggi.

I vichinghi sono tornati in Vikings: Valhalla, la serie TV Netflix

vikings: valhalla

L’incipit delle vicende della serie coincide con l’ormai sfortunatamente noto Giorno di San Brizio: il 13 novembre 1002 il re anglosassone Etelredo lo Sconsigliato ordina un massacro della popolazione danese residente sulle coste inglesi, dopo un periodo di pacifica convivenza. La Storia ci insegna che dove c’è una miccia che scatena un evento, ci sono delle reazioni che ne conseguono: una serie di rappresaglie si susseguono, portando al progressivo indebolimento della popolazione anche per via di una causa interna. La progressiva cristianizzazione, infatti, determina una sfaldatura dei rapporti intestini allo stesso popolo, che si trova così a scontrarsi con una concezione tradizionalistica e una riformatrice, che intende allinearsi con gli usi e costumi delle civiltà limitrofe, portando però inevitabilmente ad un doloroso declino della cultura vichinga. In questo orizzonte narratologico si intersecano le vite di personaggi storicamente esistite ad altri che si scardinano da una visione realistica della Storia.

vikings: valhalla

L’alone mistico che avvolgeva la serie madre viene sostituito da quello mitico, che si frappone tra la narrazione realistica e quella reale, imponendo una visione incentrata sulla ricostruzione storica – e in particolare sul riproponimento di figure realmente esistite – e quella seriale.

Il comparto estetico si indirizza verso una regia indubbiamente meticolosa, che concettualmente si accosta a quei sentori reazionari propri del Vikings originale, assumendo una connotazione selvaggiamente mobile e concitata, soprattutto quando parliamo delle scene di azione pura e in particolare della ricostruzione dei combattimenti. Questi assumono una valenza esagerata, fagocitando al suo interno una violenza e una particolare dedizione allo psicologismo tattico che sembrano essere l’espressione del cambiamento epocale intercorso tra le due serie, quella madre e quella spin off.

Vikings: Valhalla – quando il confronto con quello che è venuto è sempre costante

Vikings: Valhalla - Cinematographe.it

Andando a calcare la mano sugli aspetti scenografici e visuali e cercando di mostrare sotto forma di romanzo seriale alcune vicende storiografiche, Vikings Valhalla sembra in alcuni punti di dover affrontare quella Spada di Damocle che costantemente sembra pesare sulle sorti di questa serie. Un peso che stenta a eliminarsi del tutto, rendendo in alcuni tratti il tessuto narrativo altalenante, ma che alla fine si rivela essere in grado di competere con l’essenza primigenia e lo spirito vichingo proprio della mitologia legata a questa saga seriale. In particolare, lo spessore e la caratterizzazione dei personaggi si incastra nell’avanzamento di un plot incentrato principalmente sulla riproposizione di alcuni eventi legati a vicende reali scandinave, come già detto. Cronache della disgregazione del popolo vichingo, che vengono affidate alla narrazione corale di figure carismatiche, come Leifr Eiríksson (Sam Corlett) e Freydís Eiríksdóttir (Frida Gustavsson), Harald Sigurdsson (Leo Suter) e suo fratello Olaf Haraldsson (Jóhannes Haukur Jóhannesson). La cristianizzazione porta alla dissoluzione della cultura norrena, che però cerca di (r)esistere grazie al carisma e alla caparbietà caratteriale dei personaggi, che si immolano figurativamente per essere la rappresentazione simbolica della tradizione culturale secolare del popolo. Questi, lungi dal rappresentare lo stampo dei loro predecessori seriali, si impongono per l’aura di misticismo ontologico insito nella loro stessa natura di vichinghi, ancorati ad una concezione divistica della natura e della vita terrena. Seppur in maniera moderata, infatti, creando un legame doveroso con il titolo Valhalla, questo rappresenta quel residuale spirito onirico e arcaico che aleggia su questa saga audiovisiva, imponendo però un confronto diretto con le cruente ripercussioni del dissolvimento storico del popolo vichingo a seguito del massacro iniziato con l’attacco epurativo anglosassone del Giorno di San Brizio.

Leggi anche Vikings: Valhalla – il trailer della serie Netflix

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8

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