Westworld – stagione 2: recensione del primo episodio
Cosa c'è al centro del Labirinto? E cosa troveremo dopo la la Porta? La seconda stagione di Westworld - serie western e distopica di HBO - è cominciata e noi siamo pronti a scoprire dove si pongono i confini della realtà. Ecco la nostra recensione del primo episodio
Abbiamo raggiunto il centro del Labirinto. E adesso? Adesso torniamo indietro e troviamo la Porta. La seconda stagione di Westworld propone ai suoi spettatori e al suo giocatore, l’Uomo in nero di Ed Harris, un nuovo compito, un nuovo gioco da completare che, lo sappiamo, non farà altro che portarci a un nuovo capitolo di una storia che, per ora, non sembra avere un finale sensato. La serie HBO che unisce Western e distopia di Jonathan Nolan e Lisa Joy basata sul film Il mondo dei robot (Westworld, 1973) scritto e diretto da Michael Crichton, è tornata e punta tutto sulla ribellione, la ricerca di realtà (che cos’è la realtà?), di verità, di identità. Come sempre, quando si ha a che fare con l’Intelligenza artificiale, con ciò che rappresente la concezione più umana di tecnologia, non facciamo altro che porci domande sull’umanità stessa.
Ecco allora che nella ribellione dei Residenti del parco, nella rivoluzione armata dell’Intelligenza artificiale, in fondo non possiamo che essere dalla loro parte. Il desiderio di Dolores (Evan Rachel Wood) di scoprire se stessa e, per una volta, vivere la sua di vita, non quella degli Ospiti – non quella della figlia del fattore, della damigella in difficoltà, della bella ragazza da stuprare e uccidere – non può che trovarci d’accordo. Vederla accusare gli uomini, noi, di aver sfruttato lei e tutta la sua specie e per questo condannarli tutti a morte, è sì una reazione spaventosa e violentissima, ma innegabilmente sensata nel sistema di pensiero di Westworld. Per questo, quando un Ospite disperato la supplica di risparmiarlo perché in fondo “Era solo un gioco”, non possiamo che alzare gli occhi al cielo e cavalcare con lei verso il tramonto con un confuso Teddy (James Marsden) al suo fianco.
Westworld – stagione 2: la ribellione è Donna
Diventa poi altrettanto inevitabile interpretare la ribellione dei Residenti di Westworld con gli occhi dell’attualità e vedere del simbolismo dove, probabilmente, non ce n’è nemmeno l’ombra. Ma siamo qui per questo, no? Non può essere un caso che quella ondata di nuova vita nel parco sia guidata dalle donne. Da una parte abbiamo Dolores, dall’altra c’è Maeve (Thandie Newton) – c’è persino un ruolo minore ma fondamentale dell’Angela di Talulah Riley che sembra aggirarsi per il parco a rastrellare i sopravvissuti – e non possiamo fare a meno di pensare che la rivoluzione sia Donna. Non possiamo fare a meno di trovare parallelismi con l’ondata di (vero?) cambiamento che ha travolto Hollywood e che ha visto le protagoniste del panorama cinematografico e televisivo, prendere la situazione in mano e ribellarsi – a loro volta – contro coloro che le costringevano a vivere una realtà inaccettabile. Cambieranno le cose? Forse no, ma per lo meno ne avremo guadagnato in consapevolezza che, di questi tempi, non è un traguardo tanto malvagio.
I Residenti della stagione 2 di Westworld lo sono gia, consapevoli e a separarli dalla vera e propria liberazione c’è solo un ostacolo: il tempo. Guidati dal compromessissimo Bernard (Jeffrey Wright), saltiamo avanti e indietro nella storyline della prima e della seconda stagione. Qual è il presente? E il passato? Del futuro nemmeno a parlarne. Sappiamo esattamente cosa succederà, il problema è solo capire quando e avendo a che fare con una serie come Westworld, sappiamo benissimo che la rivelazione arriverà piano piano, nell’ultimo episodio di questo nuovo ciclo, quando finalmente varcheremo la Porta. E poi? Poi ci sarà un nuovo gioco.
Wesrworld – stagione 2: l’enormità (narrativa e produttiva) di HBO
Westworld è una produzione enorme. HBO sa benissimo come muoversi nella qualità, nell’alto budget, nella scoperta di nuovi confini per il piccolo schermo. Complice una enorme disponibilità economica, non potremmo aspettarci altro dal network americano. Certo, è sempre necessario porre un confine. Se da una parte abbiamo Il Trono di Spade (il massimo dello spettacolo televisivo in quanto tale, ma povero – recentemente – di buona scrittura) e dall’altra abbiamo un prodotto come Big Little Lies (niente fantasy, ma tanta, tanta qualità narrativa), forse Westworld sta nel mezzo.
È una serie bellissima, con un’estetica che ci ferma il respiro, che ci ipnotizza (ci accontenteremmo anche di 50 minuti di sigla iniziale, tanto è splendida). È spettacolare da un punto di vista meno esplosivo (non ci sono i draghi a sconvolgerci, solo tanta tecnologia che, si sa, fa sempre presa), ma ha una scrittura estremamente interessante. Con delle falle, certo, ma tanto elaborata e contorta quanto attenta alle singole emozioni dei singoli protagonisti. C’è spazio per l’amore (tra due amanti maledetti e tra una madre e sua figlia), c’è spazio per la paura (di morire e di sopravvivere), c’è spazio per la confusione (nostra e di chi Westworld lo vive in prima persona). C’è spazio per uno spettro di emozioni che non potrebbero essere più umane di così. È ironico che a provarle siano organismi sintetici, ma, in fondo, chi decide che cosa è reale?