Wolf Like Me: recensione della serie TV disponibile su Amazon Prime
sla Fisher e Josh Gad sono i protagonisti di Wolf Like Me, la strana storia d’amore fra un padre vedovo e una donna sola che nasconde un segreto in cantina. Su Prime Video dal 1 aprile 2022.
Dai produttori di Gone Girl – L’amore bugiardo, Big Little Lies e Nine Perfect Strangers dall’1 aprile 2022 arriva su Prime Video la nuova serie in sei episodi Wolf Like Me, una favola moderna fra rom-com e fantasy che vede protagonista e produttrice esecutiva la rossa eroina di I Love Shopping Isla Fisher. Accanto a lei Josh Gad, voce di Olaf nella versione originale di Frozen – Il regno di ghiaccio e più recentemente nei panni di LeFou ne La Bella e La Bestia di Bill Condon.
Wolf Like Me: lupi mannari, incidenti stradali e casualità
Un segreto inconfessabile, custodito da anni nel buio di una cantina, è costretto a rivelarsi quando l’incontro, o meglio l’incidente, con un padre sulla quarantina, vedovo e sentimentalmente disastroso, ridà a Mary, laureata psicologa e curatrice di una rubrica di coppia, la speranza di poter essere amata di nuovo a seguito della scomparsa del marito, morto sbranato nei boschi (forse) dai lupi.
In quei sobborghi di Adelaide, città dell’Australia meridionale, Mary e Gary, pur l’evidente riluttanza di lei a non aprirsi a nuove amicizie, continuano per strane coincidenze a ricontrarsi di nuovo, e una sera, quando lui s’imbatte accidentalmente nel pieno della manifestazione della sua inquietante stranezza, da quella stramba giovane donna scappa comprensibilmente a gambe levate.
Unici e imperfetti
Ibrido nei generi e nella mutazione animalesca che inchioda l’anima del racconto, Wolf Like Me si destreggia con naturalezza nei toni della commedia altalenandoli a quelli più dolenti del dramma familiare, ritrovando nella sofferenza dell’anormalità l’elemento di comunanza ai tre personaggi principali. Dalla faticosa incomprensione di un padre e una figlia (Ariel Donoghue), all’avvento imponderabile degli attacchi di panico di quest’ultima, fino alla peculiarità ‘bestiale’ di Mary, la serie diretta da Abe Forsythe asseconda con leggerezza e senso di comunanza la ‘strana’ imperfezione dell’essere umano, servendosi dell’elemento soprannaturale per veicolare una metafora tutt’altro che fantasiosa.
Elaborazione del lutto, fragilità e imperfezione si fanno allora peso narrativo di una (non) canonica fiaba appesa fra realtà e immaginazione, supportata da una piacevole scrittura che non si affretta a svelare l’arcano mistero dietro la sfuggevolezza di Mary, e da due attori capaci di mescolare malinconia e risata senza renderlo del tutto discordante.
Alla luce del sole: Wolf Like Me e la nostra strana fragilità
La licantropia cinematografica de Un lupo mannaro americano a Londra e le leggende vampiresche dell’enorme filone teen-fantasy simil Twiling, nella versione poetica e intimista di Wolf Like Me non assume infatti la portata estetico-visuale del fascino primitivo e misterioso della trasformazione, ma si restringe, senza per questo diminuirsi, nei territori esistenziali di una peculiarità subita, accettata seppur a fatica come parte integrante della propria identità e per questo non spettacolarizzata.
Sta qui, dunque, la novità della mostruosità incarnata dalla Fisher: nell’essere meno straordinaria e più patologica, meno freak e più tormentata, meno artistica e più disturbante. Una virata verso l’inverosimile possibile che rende Wolf Like Me una serie piccola, sia di snellezza di minutaggio che in termini di potenzialità di sviluppo successive, in grado di servirsi nell’anomalia per riscoprire la bellezza del quotidiano, e aperta nella caratterizzazione di personalità ‘normali’ alla ricerca di comprensione e gesti di ritrovata dolcezza. Un passo verso l’altro/a uno alla volta, in attesa che i raggi del sole portino via i tremori della notte.