Y: The last man – recensione della serie tv disponibile su Disney+

Tratta dalla serie di fumetti di Pia Guerra e Bian K. Vaughan, Y: The last man immagina un mondo post-apocalittico abitato (e governato) da sole donne, eccetto un giovane escapista, unico detentore del cromosoma maschile Y. Dal 22 settembre su Disney+.

Disponibile dal 22 settembre su Disney+ con i primi tre episodi, – poi con altri sette a cadenza settimanale -, Y: The last man congettura per tempistica un futuro distopico in cui tutti i mammiferi portatori del cromosoma Y ad un tratto muoiono di fatali emorragie, decretando con l’inutilizzo degli embrioni e dello sperma precedentemente congelato nelle cliniche per la procreazione assistita, la fine post-apocalittica della specie umana. A restare vivo è dunque un mondo di sole donne, ciascuna con il proprio lutto da guarire e i propri barbari istinti di sopravvivenza da placare; costrette ai piani alti di Washington a fronteggiare sommosse popolari che urlano alla cospirazione, e impegnate all’impossibile approvvigionamento di beni di prima necessità, dall’acqua corrente all’energia, dal petrolio ai prodotti alimentari.

Fra loro – ma nascosto  agli occhi di tutti per le irreparabili conseguenze sociali che innescherebbero ancor più la rabbia nelle uniche sopravvissute – l’unico maschio ad essere sfuggito inspiegabilmente alla catastrofe: il ventisettenne insegnante di escapismo e magia Yorick (Ben Schnetzer), figlio della senatrice Jennifer Brown (Diane Lane) neo presidentessa degli Stati Uniti, e fratello di Hero (Olivia Thirlby), giovane paramedica di New York da molto lontano da casa. Accompagnato da una scimmia di nome Ampersand, anch’essa di sesso maschile, è il patrimonio genetico di Y(orick) a diventare così minaccia e salvezza al tempo stesso; un DNA di mistero scientifico e possibilità di clonazione che nella serie adattata da FX in co-produzione con Color Force, viene potenzialmente usata per innescare domane e riflessioni sul tema del genere e delle sue implicazioni sociali.

This is a (wo)man(s) world: Y: The last man riporta in vita il fumetto della Vertigo e i suoi argomenti estremamente contemporanei all’agenda del 2021

y the last man cinematographe.it

Creata per lo schermo da Eliza Clark (già autrice di The Killing) e diretta per ogni episodio da sette registe diverse, Y: The Last man riadatta sull’omonimo fumetto pubblicato in sessantuno numeri dalla casa editrice DC Vertigo, la visione fantascientifica e paradossalmente estrema ideata dalla mente di Brian K. Vaughan e rappresentata per disegni della co-creatrice Pia Guerra, sollecitando a distanza di vent’anni dal primo numero del 2002, riverberi e questioni estremamente contemporanee sulla parità e le relazioni fra i sessi; l’identità personale e quella riconoscibile; le relazioni fra i sessi e la delegazione non maschile a cariche politiche.

Attraverso la cancellazione di un genere infatti, la serie posiziona le uniche sopravvissute a ad uno stato di guerriglia urbana, scoppiata in città fantasma abitate da sole detentrici del cromosoma opposto X, indotte giocoforza ad imbracciare il fucile come costante autodifesa da possibili nemici. Organizzatesi in piccoli nuclei armati, nei quali però sarà impossibile non sottostare a regole di potere e di autorità, e, mancato l’idillio inverosimile della forza collettiva e ugualitaria delle donne, il racconto mostra quanto l’estromissione degli uomini dai giochi di potere e dalle attività lavorative nei settori fondamentali dell’economia di un paese, di fatto, non implichi l’emancipazione né la convivenza pacifica delle donne, piuttosto quanto l’umanità sia intrinsecamente ancora governata da coordinate di classe, stato sociale, privilegio, razze, affiliazioni e ideologie politiche.

Metropoli fantasma e questioni di genere

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Sospinto ancor più da una mira fantascientifica e d’avventura che costruisce visivamente per effetti digitali le estranianti metropoli mute, abbandonate nel momento esatto che ne decreta un ‘prima’ e un ‘dopo’, la serie di Clark intende altresì domandarsi quale sia il reale discrimine per decretare la suddivisione umana nei due rispettivi generi, non solo sganciando la problematica transgender che riapre ai tratti somatici come determinante esteriore e identitaria ma non a quella cromosomica, ma collocandola in quella caratteriale, dipingendo ad esempio nell’unico maschio in vita Y, un’indole fortemente sentimentale e un’ inclinazione debolmente sensibile, qualità normalmente attribuite a requisiti femminili.

Nonostante la portata smisurata in termini di riflessioni sul presente, tuttavia, la regia e la scrittura sembrano talvolta sviare nelle beghe politico-militari e nella spy-story affidata al personaggio, per quanto fondamentale, di Agente 355 (Ashley Romans), un’agente segreto il cui mistero rimane inalterato e forzatamente esasperato per l’intera prima parte di racconto, plasmato nella descrizione dei personaggi e della preparazione graduale all’evento limite.

Al cospetto dell’argomento dunque, Y: The Last man manca di disamina prettamente umana e affettiva, poiché ha scelto esplorare con maggior urgenza la componente distopica della fine del mondo, lasciando così in disparte gli inneschi emotivi sull’identità personale/sociale e le sfumature sulla maternità – quella cioè che avrebbe potuto determinare lo scarto in avanti con serie che hanno già trattato mondi nei quali l’umanità è messa a rischio. Su tutti verrebbe da citare la distorsione femminista di The Handmaid’s Tale, capace di toccare tematiche urgenti con maggior piglio indagatorio e una regia altamente raffinata e riconoscibile.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.3