Yu Yu Hakusho: recensione della serie live action Netflix
L'adattamento live action dell'iconico manga degli anni Novanta di Yoshihiro Togashi.
Yu Yu Hakusho è l’ennesimo adattamento live action Netflix, tratto da un manga/anime di successo degli anni Novanta. La serie, composta da cinque episodi, sulla piattaforma dal 14 dicembre, è diretta da Shō Tsukikawa, lo stesso regista di Voglio mangiare il tuo pancreas e realizzata dai Tomorrow Studios, che si erano già occupati dell’adattamento di Cowboy Bebop.
Yusuke Urameshi è un adolescente scontroso, che si fa passare per teppista. In realtà il ragazzo, nonostante finisca spesso in delle risse con le bande di bulli dei vari licei di Tokyo, ha un cuore d’oro. Muore per salvare un bambino da un incidente automobilistico e viene riportato in vita, come detective del mondo degli spettri, da un’entità nota come Piccolo Enma. Urameshi, accompagnato da Botan, una ragazza dai capelli blu, che si presenta come “il triste mietitore”, deve riportare nell’altro mondo degli artefatti rubati da alcuni fantasmi, o meglio yokai – gli spiriti demoniaci della tradizione nipponica. In questa impresa si uniscono al ragazzo l’amico/rivale Kuwabara, la giovane Keiko e due yokai dall’animo buono, Kurama e Hiei. Il pittoresco gruppo, dopo aver recuperato gli oggetti magici, finisce su un’isola segreta per sventare il piano del villain, Sakyo, che ha rapito Yukina, la sorella di Hiei, vorrebbe aprire un portale fra il mondo umano e quello degli spettri e vanta fra le sue fila i letali fratelli Toguro.
Yu Yu Hakusho. I Tomorrow Studios ci riprovano!
Con questa serie Netflix ci riprova. Forte del successo della serie live action di One Piece, la piattaforma di streaming ha deciso di dare una seconda possibilità ai Tomorrow Studios. Stavolta però lascia il progetto in mano ai giapponesi, per evitare derive patetiche come quelle di franchise quali Saint Seiya o lo stesso flop di Cowboy Bebop. Eppure il risultato, ancora una volta, non è dei migliori. Nonostante Yu Yu Hakusho possa esser visto come una decente fantasy action series, priva di pretese, non riesce minimamente a rendere giustizia all’originale manga di Yoshihiro Togashi e al suo adattamento animato.
La trama, per evitare filler e dispersioni, viene ridotta all’osso. Così vengono a mancare l’approfondimento psicologico dei vari protagonisti e, soprattutto, gli aspetti più ironici e grotteschi del lavoro di Togashi. Le relazioni fra i protagonisti si sviluppano troppo velocemente e non restituiscono le interessanti dinamiche di gruppo, basate sulla tradizione delle avventure leggendarie di Minamoto no Raiko e dei quattro samurai al suo servizio. Gli approfondimenti sulle storture dell’imposizione di una disciplina vuota, nel sistema scolastico giapponese, sono completamente assenti. Il mondo degli spiriti è delineato in maniera sommaria, priva di fascino e con una CGI abbastanza anonima. Laddove infatti nell’originale cartaceo il regno del Piccolo Enma si configura come un mondo pittoresco, pieno di creature tipiche della tradizione folclorica giapponese e improntato a una satira della burocrazia umana, simile a quella inscenata dal Beetlejuice (1988) di Burton, qui è solo un enorme palazzo orientaleggiante in CGI, dove la cosa più interessante è data dalle pergamene audiovisive, contenenti la vita dei mortali, che ricordano le timeline di video editing. Purtroppo Tsukikawa, probabilmente a causa di un budget non adeguato, ha spinto l’acceleratore sugli aspetti action dell’opera di Togashi e così si è trovato a dover ridurre la trama all’essenziale, per tenere alta l’attenzione di un pubblico sempre meno avvezzo a ritmi e narrazioni più contemplative.
Yu Yu Hakusho: valutazione e conclusione
Da un punto di vista prettamente visivo, l’assetto estetico rientra nella media di questo tipo di prodotto. Il che è un ulteriore problema, poiché sono assenti gli scorci da fiaba postmoderna, che l’anime invece restituiva magistralmente, come quello in cui Botan, a cavallo di un remo volante, trascina Urameshi per il cielo notturno di Tokyo, illuminata da una splendida Luna piena. La fotografia è improntata alla semplicità espositiva e all’ormai immancabile gradazione Teal and Orange. Inoltre i personaggi principali presentano dei look completamente fuori contesto in un live action, in quanto riproducono in maniera troppo pedissequa quelli delle controparti cartacee, senza che però il mondo circostante e gli altri personaggi abbiano la stessa estetica. Così alla fine sembra di trovarsi davanti a un ottimo cosplay di Yu Yu Hakusho, piuttosto che a un adattamento professionale – difetto, per la verità, abbastanza diffuso fra gli adattamenti di anime e manga. L’unica nota completamente positiva consiste nella messa in scena dei combattimenti, tutti ben girati e in grado di restituire le atmosfere di quelli del manga.
Insomma, per ora, il caso di One Piece rimane ancora un unicum.