10 giorni con Babbo Natale: recensione del film Amazon Prime con Fabio de Luigi
A Natale la famiglia Rovelli torna sullo schermo nel sequel di “10 giorni senza mamma”, firmato da Alessandro Genovesi. Disponibile su Amazon Prime Video dal 4 dicembre.
Nel 2019 il primo capitolo 10 giorni senza mamma aveva portato al regista, Alessandro Genovesi, il Biglietto d’Oro come film più visto in sala. Una commedia familiare sagace che aveva fatto delle gag di Fabio de Luigi la sua forza. L’idea di promuovere il sequel nelle sale ha fatto presto i conti con la chiusura dei cinema, e con il dilagare della pandemia da Covid-19 si è visto costretto ad allietare il catalogo natalizio offerto dalla piattaforma streaming Amazon Prime Video. Al cast vincente del primo capitolo (Valentina Lodovini nei panni di Giulia e Fabio de Luigi, il padre Carlo) si aggiunge Diego Abatantuono, un buffo (e rallentato!) Babbo Natale che compare all’improvviso per risanare gli equilibri familiari. Se nel primo capitolo Giulia partiva alla volta di Cuba per ritrovare l’indipendenza e recuperare tredici anni di vita dedicati esclusivamente alla famiglia, lasciando solo il manager Carlo alle prese con tre figli esuberanti e impegnativi, in 10 giorni con Babbo Natale la formula viene riproposta e contestualizzata nel bianco candore del Natale, cornice necessaria alla ricostituzione dei legami ormai fragili, e trova la sua fortuna nell’assortimento di un cast complice e carismatico capace di catturare uno spaccato frequente di quotidianità.
10 giorni con Babbo Natale: Dove eravamo rimasti?
Giulia (Valentina Lodovini) è una donna in carriera contesa tra il lavoro, cui dedica la maggior parte del suo tempo, e lo sconforto di non riuscire a godersi gli affetti; Carlo (Fabio de Luigi), ora disoccupato dopo gli eventi del primo capitolo, vive quotidianamente la casa occupandosi dei tre figli: il sonnambulo e filonazista Tito (Matteo Castellucci), l’ambientalista eco-friendly Camilla (Angelica Elli) e la spassosa Bianca (Bianca Usai) che non si risparmia per lo schermo con la sua incredibile presenza scenica. Per far fronte alle continue discussioni, alle diverse prospettive di vita e all’inevitabile disillusione dell’età adulta, Carlo costringe la famiglia a passare dieci giorni in viaggio nel camper che da giovane aveva visto sbocciare l’amore con Giulia. Sulla strada verso Stoccolma, dove Giulia deve sostenere un importante colloquio di lavoro, la famiglia si imbatte “incidentalmente” in Babbo Natale (Diego Abatantuono), e scambiandolo per un clochard frastornato da frequenti amnesie decide di accompagnarlo a casa. Lungo il tragitto gli spazi stretti intensificano le discordie tra i componenti della famiglia, e i contrasti calmierati troppo a lungo sembrano infrangere la speranza di riconquistare l’armonia. Credere in Babbo Natale diventa allora l’allegoria di un’infanzia a portata di mano, un periodo che restituisce, seppur nelle sue criticità, la magia natalizia e la convinzione che tutto, in fondo, sia possibile.
Un capitolo convincente che si perde sul più bello
Se il primo capitolo diverte con le gag comiche dell’istrionico Fabio de Luigi, 10 giorni con Babbo Natale convince grazie all’introspezione fedele nella psiche dei personaggi, in grado di rispecchiare i microdrammi singolari della quotidianità adulta e confrontarli con le trasformazioni significative che investono, di riflesso, tre diverse età dell’infanzia: Tito è diventato sonnambulo, prende inconsciamente a schiaffi il padre Carlo nel bel mezzo della notte e frequenta cattive compagnie scolastiche che lo convertono a tendenze filonaziste; Camilla è cresciuta, ora ambientalista profondamente avversa al mondo circostante e impegnata in una relazione complicata, e la più piccola Bianca continua a stupirsi per tutto ciò che sembra brillare di magia. La rappresentazione che Alessandro Genovesi porta sullo schermo è quella di un dramma familiare che si consuma di fronte all’estenuante difficoltà di conciliare carriera e affetti, uno scenario consueto che ritrae i suoi personaggi nel tentativo di recuperare gli occhi dell’infanzia per godersi un’ultima occasione di felicità condivisa. “Stare da soli a Natale fa schifo“, è questa la giustificazione innocente che mette in moto il viaggio di Giulia e Carlo, spinti alla frontiera tra il giusto e il desiderato. Se c’è una pecca nel film di Genovesi è proprio questa: il disseminare la speranza di un’inversione di rotta, di un intervento risolutivo più conforme alle esigenze della quotidianità, orientato verso una strategia del vivere comune più inclusiva che non rinunci a conciliare i due mondi, entrambi straordinari, per offrire poi una conclusione a metà, conciliante ma spuria.
Il dolcissimo Babbo Natale di Diego Abatantuono
Avvezzo al ruolo comico, più che a quello drammatico, Diego Abatantuono stupisce nei panni di un Babbo Natale un po’ rimbambito: soffre di perdita di memoria a breve termine, ha il sonno pesante e pensa a lungo (forse troppo!) prima di rispondere. Dietro la facciata di un’apparente stramberia si nasconde, neanche troppo velatamente, un personaggio amorevole, che sa guardare e ascoltare, e non per merito del suo ruolo “magico” ma per l’incredibile empatia di cui è dotato. Se è vero che Babbo Natale parla tutte le lingue del mondo, qui comunica direttamente al cuore di chi è disposto a mettere da parte l’orgoglio per ritrovarsi “a casa” nel miracolo natalizio. Una performance malinconica, del tutto inaspettata, che rende 10 giorni con Babbo Natale un film accogliente quasi quanto il villaggio con le sue luci e il calore tipicamente natalizio. Da guardare in famiglia. Ogni tipo di famiglia.