20000 Specie di Api: recensione del film di Bilbao Estibaliz Urresola Solaguren
Un viaggio doloroso ma anche luminoso di formazione e scoperta di sé.
Cocó, 8 anni, si sente fuori posto e non capisce perché, o meglio lo capisce perfettamente, non si riconosce nel suo nome di battesimo, Aitor, odia il nome e ciò che rappresenta. Nel corso di un’estate nella campagna basca, portati dalla madre della protagonista, Ane (Patricia López Arnaiz), a casa della nonna, tra gite al fiume, api e i saggi consigli di sua zia Lourdes (Ane Gabarain), Cocó riesce ad affrontare dubbi e paure, trovando la propria vera identità. Questo racconta 20000 Specie di Api, opera prima di Bilbao Estibaliz Urresola Solaguren, che arriva in sala il 14 dicembre 2023 con I Wonder Pictures, con un coming of age, con una storia d’accettazione di sé che vede la piccola Sofia Otero – che interpreta la protagonista – vincere l’Orso d’Argento, in concorso nella sezione ufficiale del 73° Festival di Berlino. Il titolo sta ad indicare il fatto che Cocó si sente a suo agio solo in compagnia della zia, si sente calma e felice solo quando sta con le api.
20000 Specie di Api: un viaggio doloroso ma anche luminoso di formazione e scoperta di sé
Ane: “Avevamo detto di fare un autoritratto”
Cocó: “Ho fatto quello che mi piaceva”
20.000 Specie di Api racconta la storia di Cocó, nata Aitor, la sua estate alla ricerca di se stessa, del proprio corpo e della propria identità, le relazioni familiari e sociali. Aitor stupisce tutti perché li invita a chiamarla Cocó, il nome che lei ama, ciò che lei si sente. Non capisce perché gli altri non capiscano la sua necessità, il suo bisogno. I capelli portati lunghi, lo smalto, il desiderio di indossare abiti diversi dai propri, Cocó indaga, pensa, riflette, teme di dire ciò che sente, l’unico posto in cui si sente bene è con le api, che pungono ma possono anche curare, e proprio lì si incunea e cresce l’incredibile meraviglioso racconto di Lucia e della sua identità fluida. Le immagini dell’ape e dell’alveare sono elementi che hanno permesso di lavorare alla regista intorno al concetto di famiglia in cui ogni ape ha una funzione, ogni elemento, ciascuno diverso, ha un suo ruolo (nonne, zie, madri, figlie).
La regista cuce nel tessuto che è il film persone e luogo e la sensazione è che ogni cosa accada con naturalezza e delicatezza, l’evoluzione è organica come è organico il viaggio della protagonista. Cocó ha una grande famiglia, ci sono il papà e la mamma, ha anche un fratello e una sorella, zii, zie, cugine e cugini, ciascuno ha una propria idea su quelle che vengono intese come stranezze, particolarità, cose di cui sorridere, invece la bambina sta compiendo un viaggio intenso dentro di sé. La storia è immersa in un piccolo mondo dove dialogano, si incontrano e si scontrano donne di diverse età, la presenza di una bambina transessuale diventa motivo inspiegabile di paura. Il cambiamento rispetto al corso delle cose terrorizza soprattutto quando la persona consapevole è una bambina e non un’adulta – qui i grandi sono pieni di dubbi, incertezze, paure, nascondono segreti, tradiscono e feriscono gli altri per rimanere a galla e poi c’è Cocó un’ape regina convinta e conscia, nonostante i passi titubanti, di ciò che è o almeno di ciò che desidera.
Al centro c’è la transizione di genere
Mentre la madre cerca di far vivere Cocó come meglio crede, il padre ha paura che sia troppo presto, la zia Lourdes che ha una fattoria in cui si occupa di apicoltura, tradizione qui – le api impollinano, creano cera d’api, hanno una funzione guaritrice tramite l’agopuntura con il loro veleno – cerca di sostenere Cocó. Ane non vuole costringerla nel rigido sistema sesso-genere, le lascia la libertà di essere, mentre gli altri continuano a chiamarla con il nome che lei odia.
Zia: “Dobbiamo parlare di Aitor. Credo che sia a suo agio con le api.”
Ane: “Si”
Zia “Voglio dire sembra rilassata”
Ane “Cosa hai detto?
Zia “è lei che lo dice”
Ane: “Gli dico sempre che non esistono cose da maschio e cose da femmina. Non mettergli strane idee in testa.”
Zia “Non lo faccio, mi limito solo ad ascoltare”
20000 Specie di Api porta al centro la transizione di genere. Con dolcezza e delicatezza mostra Cocó, i suoi pensieri, il suo volto perso perché lei di andare in piscina non ne ha voglia, soprattutto quando sa che non potrà indossare il costume che vuole, che non potrebbe andare nello spogliatoio femminile, i suoi occhi disperati perché vorrebbe poter scegliere l’abito che vuole per il battesimo di famiglia in cui lei e gli altri bambini dovrebbero scegliere abiti formali speciali e Cocó vuole un vestito pensato solitamente per i maschi.
Cocó si vergogna di ciò che è e di ciò che non può essere, del suo corpo, di ciò che possiede perché così è nata e di ciò che vorrebbe possedere, si vergogna anche perché così le è stato insegnato che volere qualcosa di alternativo è sbagliato o almeno non conforme. L’opera è una storia che riflette sul pudore e su come, proprio in virtù di questo, all’interno di una società, spesso, ci sia una sorta di meccanismo di controllo verso le donne ma anche verso le persone come Cocó che si allontanano dalla rigida struttura binaria, così facendo chi esce da quel recinto perché si sente di ferire qualcuno, si limita.
20000 specie di Api: tutto si poggia su Cocó/Lucia che porta avanti a suon di silenzi, incontri e paure un film commovente ed emozionante
Cocó: “Il mio vero nome è Lucia, non Cocó”
Cocó sente dalla nonna la storia di santa Lucia (la santa di Siracusa), in uno dei momenti più importanti e fondanti, Lucia chiede a sant’Agata di esaudire il suo desiderio, così lei decide di farsi chiamare Lucia, un desiderio che la pervade e la sostiene in questo percorso non semplice ma che fa parte di lei. Si immagina sirena – emblema dell’essere a metà – e ape regina, è intensa, commovente grazie alla sua interprete che le dona verità che mostra in maniera incontrovertibile quanto la bambina vacilli e si strugga per il proprio riflesso interiore e quello esteriore, tra percezione di sé e quella altrui. Uno degli elementi fondamentali, trait d’union, è la scultura, Ane è scultrice, plasma la cera d’api trasformandola in splendide statue, realizzando corpi perfetti, e spesso, negli intermezzi tra un evento e l’altro, tra un momento familiare e l’altro, Cocó/Lucia vede plasmare corpi, percepisce la materia che si modella sotto le mani calde e premurose di sua madre. Ane insegna ai figli che possono diventare ciò che vogliono, sirena, ape o qualsiasi altra cosa e Cocó vuole fare la stessa cosa, cerca ascolto, nonostante gli adulti non la capiscano o non totalmente.
L’intero film poggia su Cocó/Lucia, sul suo corpo che viene da lei guardato, cambiato e maledice quell’immagine che è sempre e comunque molto diversa dal suo sogno, piange disperata perché mentre il fratello sa chi è, lei non lo sa, chiede, con una sicurezza struggente, di morire Aitor per rinascere anche biologicamente e fisiologicamente bambina. Cocó però ama troppo sua madre, non la vuole vedere triste e spesso si frena, cercando di restare dentro gli steccati a lei imposti dalla società, così Ane assiste al dolore e alla disperazione di sua figlia, la vede spesso distante, combattuta, arrabbiata. Il rapporto tra madre e figlia è intenso e conflittuale, tenero perché tra silenzi forzati, timide domande e inattese rivelazioni le due sono comunque mano nella mano, l’una accanto all’altra nel mondo che spesso non capisce o irride o giudica.
Cocó, proprio lì, libera nella campagna compie un viaggio per essere Lucia, conscia e consapevole, e così riesce ad arrivare ad una piena affermazione di sé, solo assieme alle api, con la zia che l’ha ascoltata profondamente, così, esce dall'”armadio” si mostra per quella che è anche alla famiglia.
20000 Specie di Api: valutazione e conclusione
20.000 Specie di Api affronta con sapienza la questione dell’identità ampliandone la visione, provando a capire come le relazioni familiari possano influenzare il viaggio verso l’autodeterminazione, è un piccolo grande film, un delicato e riuscito esordio, una commovente cronaca della graduale transizione di colui che è nato Aitor ma si sente ed è Lucia. Si tratta di una narrazione di cui si sente il bisogno perché film come questi fanno entrare le persone dentro storie ancora poco conosciute (il transgenderismo nell’infanzia e pubertà) in modo da rendere evidente quanto certe chiusure insensate e prive di fondamento siano espressione di una mentalità politicizzata non calata nel mondo. Quello di Cocó è un dolcissimo ritratto attuale e senza tempo che segue “il ciclo” della vita in cui si perde e si rinasce, e mentre si trasforma la protagonista, si trasforma anche lo sguardo di chi le sta intorno.
Solaguren ha ambientato il film nei Paesi Baschi, divisi da un confine che è barriera mentale, limite che si deve oltrepassare, la lingua scelta è il basco, non a caso, perché la sua grammatica non prevede il genere, c’è una liberazione da parte della protagonista. Si percepisce profondamente e sulla/sotto pelle il viaggio di Cocó/Lucia, il lavoro di Solaguren che ha conosciuto una ventina di famiglie con bambini e bambine trans di età compresa tra i i 3 e i 9 anni, è evidente, tutto ciò emerge da ogni parola, da ogni gesto, da ogni sguardo. La storia non corre perché non ce ne è bisogno, ci sono invece silenzi, dialoghi, incontri e ciascun elemento è utile per aprire le porte della casa di Cocó. Le performance sono così vere e realistiche che sembra di essere di fronte quasi ad un documentario e come non pensare all’opera di Sébastien Lifshitz, Petite fille (2020), nelle due storie c’è anche una madre che accoglie la trasformazione di quella creatura nata biologicamente e fisiologicamente maschio ma che si sente meravigliosamente e profondamente femmina. Lo spettatore partecipa con emozione e empatia al film e il suo sguardo combacia con quello amorevole di Ane; 20000 Specie di Api è un inno alla diversità, come quella dagli insetti del titolo. Nell’opera si narra il viaggio del personaggio di Cocó/Lucia, bambina meravigliosa – interpretata da un’attrice meravigliosa – e noi con il cuore intenerito e emozionato assistiamo allo spettacolo di questa coraggiosa piccola donna pronta alla vita.