6 Underground: recensione del film di Michael Bay con Ryan Reynolds
6 Underground, il film di Michael Bay con Ryan Reynolds protagonista, mostra pregi e difetti del regista. Una via di mezzo che forse potrebbe essere penalizzata dal piccolo schermo.
Nella cinematografia di Michael Bay sono pochi i film che si sono discostati dal suo cliché fatto di azione, rallenty, personaggi tagliati con l’accetta e spettacolarità da show della WWE, con quel pizzico di machismo e atmosfere da action revival anni ’80. In questo contesto, 6 Underground rappresenta sicuramente una via di mezzo tra ciò che il regista ci aveva mostrato fino a oggi (con Bad Boys, Pearl Harbor e Transformers) e quella vena di sperimentazione che lo ha portato a fare film assolutamente diversi dal suo solito come 13 Hours: The Secret Soldiers of Bengazi e The Island.
L’iter narrativo (frutto della sceneggiatura a quattro mani di Paul Wernick e Rhett Reese), ha come protagonista una squadra di misteriosi e alquanto imprevedibili vigilantes planetari, messa insieme dal misterioso Uno (Ryan Reynolds) e di cui fanno parte Due (Melanie Laurent), Tre (Manuel Garcia-Rufo), Quattro (Adria Aronja), Cinque (Corey Hawkins) e Sei (Ben Hardy).
Occupati ad eliminare dalla faccia della terra ingiustizie, soprusi e criminali, hanno tagliato ogni ponte col passato e abbracciato una crociata che mira a portarli verso una totale indipendenza da ogni Servizio Segreto o governo. Ma riusciranno a mantenere la loro identità e contemporaneamente a salvare il mondo?
6 Underground: film a due facce per gli aficionados di Micheal Bay
Da una parte il regista va oltre i cliché a cui ha abituato il suo pubblico, si collega in modo abbastanza onesto e divertito alla dimensione della spy story alla Mission Impossible o 007, dall’altra strizza l’occhio al concetto di fuorilegge dal cuore d’oro, a lupi solitari in cerca di una nuova famiglia, al buddy action movie proprio dell’universo di Fast & Furious ed xXx.
Per una volta tiene una velocità più costante, non esagera con una dimensione cinematografica di micro-inquadrature da un paio di secondi, non diventa schiavo del suo stesso linguaggio iper-cinetico ed iper-adrenalinico.
Dal punto di vista narrativo però, il film è alquanto instabile, non ha una direzione o un tono precisi, è incerto se operare una sorta di decostruzione-homage o piuttosto una parodia del genere, e invece finisce per prendersi sul serio, presentare un prodotto standardizzato nella sostanza per quanto non nella forma.
6 Underground, girato in Italia, Emirati Arabi e California, anche dal punto di vista della struttura non si capisce bene che cosa sia, visto l’ammontare assurdo di flashback e la mancanza di una struttura definita. E con definita non si intende classica, ma una struttura che sia coerente o anche solo comprensibile, il che alla lunga stordisce e confonde lo spettatore in modo alquanto fastidioso.
Michael Bay e quel vecchio difetto di prendersi troppo sul serio
I personaggi e le loro motivazioni, non sono altro che la sagra del già visto, del già sperimentato, unito in un universo fatto solo di belle donne, assassini dalla battuta pronta e cattivi carismatici come un ghiacciolo sciolto.
Quando vuole essere leggero e dissacrante però, 6 Underground funziona egregiamente, anche grazie alla simpatia di questo strano “Mucchio Selvaggio”, di questi Expendables sui generis, e alla chimica che si crea tra di loro.
Bay ancora una volta non è che si sforzi comunque troppo nel tratteggiare i suoi eroi dalla lingua lunga, guidati da un Reynolds più cinico del solito, che vanno dalla francese sexy e letale in stile Nikita, al latino testa calda fino all’eroe di guerra cupo ma dal cuore d’oro.
Ma del resto fin dai tempi di Armageddon, Bay non è che brillasse per varietà, quanto piuttosto per abilità nel rendere questi personaggi accattivanti, facilmente comprensibili e coesi nel loro supportarsi e sopportarsi.
Tutto questo avrebbe fatto di 6 Underground un simpatico ed originale blockbuster se non fosse per il solito, vecchio difetto di Bay di prendersi sul serio, di non sapere rinunciare all’epica, alla lezioncina a stelle e strisce da impartire al resto del mondo.
6 Underground: ottime la fotografia e la colonna sonora!
Altro difetto di 6 Underground, la pigrizia con cui il regista si abbandona ai cliché sui non-americani, alla sciatteria usata per descrivere una sorta di Libia 2.0, situata non si sa esattamente dove (nelle ex repubbliche sovietiche dove però stranamente sembrano tutti nord-africani), per finire con leader arabi che usano slang americano, parlano un inglese maccheronico tra di loro e sembrano usciti da uno Scary Movie tra i meno brillanti.
La cosa produce effetti comici involontari, fa scivolare il tutto nel ridicolo, mentre assistiamo allo schiudersi dell’ennesima pantomima semplificatrice dell’americano sprezzante e figo che salva il mondo e guida l’occidente contro una sorta di incrocio tra Putin, Saddam e Al-Assad.
Belle le scene d’azione, belle le coreografie, ottima la fotografia di Bojan Bazelli ed il montaggio di Roger Barton, William Goldenberg e Calvin Wimmer, con una colonna sonora adrenalinica ad unire il tutto: si insomma, un film di Michael Bay tipico da questo punto di vista.
La regia è il solito talentuoso mix di dinamismo e pesante estetica da videoclip, in ultima analisi una grande confezione per idee sconclusionate, tanto che sovente sembra un insieme di singole scene distanziate narrativamente le une dalle altre in modo quasi scioccante.
6 Underground è in uscita su Netflix dal 13 dicembre 2019, ma è alquanto misterioso il suo destino in termini di successo di pubblico, 150 milioni non sono pochi ed è e rimane un film da cinema più che da home demand.
Perché privo del suo impatto sonoro-visivo proprio dell’esperienza di sala, 6 Underground è nudo di fronte ad un pubblico che non ci metterà molto a trovare il tutto così poco connesso alla terribile epoca in cui viviamo, dove pure nella finzione è dura accettare che arriverà un’altra “Forza 10 da Navarone” a salvare la democrazia negli angoli sperduti del globo.