7 Prisioneiros: recensione del film Netflix di Alexandre Moratto
Dall’11 novembre arriva su Netflix il secondo lungometraggio del regista di Socrates (2018). Attraverso lo stesso attore protagonista e il medesimo co-sceneggiatore del film d’esordio, con 7 Prisioneiros Alexandre Moratto apre lo sguardo sul feroce fenomeno della tratta degli esseri umani e quello, aberrante, del caporalato metropolitano.
A tre anni da Socrates, esordio in lungometraggio del giovane cineasta brasiliano-americano Alexandre Moratto, 7 Prisionieros, presentato all’interno di Venezia 78 nella sezione Orizzonti Extra, prosegue la collaborazione del regista sia con il suo interprete feticcio Christian Malheiros, candidato agli Spirits Awards 2019 come migliore attore proprio grazie al coming-of-age sul lutto, sia con il suo collaboratore in scrittura Thayná Mantesso, già autore per Netflix di un episodio della serie Sintonia.
Sintonia stavolta, quella fra i tre carioca, ricongiunta a favore di un dramma verista fortemente sociale, capace di far emergere l’angosciante fenomeno del caporalato metropolitano e di quella che, senza iperbole alcuna, è considerata vera e propria schiavitù moderna.
7 Prisioneiros è disponibile sul catalogo Netflix a partire dall’11 novembre, ed è prodotto inoltre da Fernando Meirelles e Ramin Bahrani
Convinti a lasciare affetti e lavoro agricolo per arricchire (sperandolo) le tasche proprie e quelle dei familiari, quattro adolescenti abituati a sgobbare sin dall’infanzia, si consegnano al destino ancora aleatorio di chi gli promette una condizione migliore, e, chiusi in un camioncino per cinque ore filate, giungono a San Paolo per essere affidati alla mercé del signor Luca (Rodrigo Santoro).
A Mateus (Christian Malheiros) e i compagni vengono allora impartite lezioni, anzi brevi dimostranze, di mansioni estenuanti all’interno di uno sfasciacarrozze lontano dai rumori, e dallo sguardo, cittadino: per i prossimi mesi i neo assunti, più altri tre aggiunti, dovranno spellare fili di rame, smontare in velocità motori di auto consumate, separare acciaio da quello inossidabile, mangiare una razione al giorno nei pochi minuti di tregua concessi.
Si aggiungono inoltre le costrizioni, le punizioni, i maltrattamenti, la coercizione: ritirati i cellulari e chiusi da un cancello di ferro, i sette perdono di netto la propria identità e, minacciati di mettere a rischio i cari lasciati a Catanduva, diventano così prigionieri del loro aguzzino. Mateus sarà per sua (s)fortuna costretto a decidere se continuare a lavorare per Luca, a sua volta membro di un sistema piramidale con vette politiche che rende possibile tale stortura, oppure continuare a ribellarsi mettendo in pericolo sé e il futuro della sua famiglia.
Un gruppo di adolescenti reclutati dalle periferie rurali e resi schiavi a San Paolo al centro del secondo film di Alexandre Moratto
Seppur sviando verso un percorso esclusivo, tracciando sul destino del suo protagonista su barriere e crocevia che domandano la presa in considerazione di codici d’onore, piuttosto che compromessi per salvarsi la pelle, 7 Prisioneiros trova occasione di filtrare attraverso il racconto piramidale, la tratta umana di uomini e donne sfruttati ogni giorno per pochi soldi, reclutati dalle loro zone d’origine, giunti in Brasile (come in Italia), dall’Est o dalle regioni africane, per sottostare a lavori di mano d’opera attraverso intermediari, per conto di meno noti imprenditori all’infuori dei normali canali di assunzione.
Attraverso la produzione dei più noti registi candidati agli Oscar Fernando Meirelles (City of God) e Ramin Bahrani (La tigre bianca), il film di Moratto ha così il pregio di aprire lo sguardo finora pigramente socchiuso, su una verità amara quanto dilagante, romanzandola sul punto di vista adolescenziale, di un processo avviato alla maturazione per mano di una crudeltà, quella del capo Luca, a cui la sceneggiatura sembra infondo trovare una sorta di giustificazione ‒ ritrovando nel personaggio più abietto la stessa (non) scelta che rende equivalente la libertà con la povertà; e, di conseguenza, la schiavitù come unica, concreta, possibilità di sopravvivenza.
7 Prisioneiros dunque, è un passo minimo ma rilevante, diretto verso un pubblico mainstream forse ancora poco cosciente della realtà socio economica brasiliana, nella speranza che dopo quella di Moratto si accodino altre voci ancor più stimolanti per proseguire ed ampliare la testimonianza.