RomaFF13 – 7 sconosciuti a El Royale: recensione
La nostra recensione da RomaFF13 di 7 sconosciuti a El Royale, nuovo film di Drew Goddard con Jeff Bridges, Jon Hamm, Dakota Johnson e Chris Hemsworth
Dopo il successo di Quella casa nel bosco, geniale rielaborazione del genere horror, Drew Goddard torna dietro alla regia cinematografica con 7 sconosciuti a El Royale, scelto come film d’apertura della Festa del Cinema di Roma 2018. Una pellicola forte di un eccellente cast (Jeff Bridges, Jon Hamm, Dakota Johnson, Cynthia Erivo, Chris Hemsworth, Cailee Spaeny e Lewis Pullman), che si propone come noir moderno per poi lavorare su temi più complessi e profondi, come la morte del cosiddetto Sogno Americano a cavallo fra anni ’60 e ’70, il tutto con una pungente ironia, una pregevole cura dei dialoghi, una insistita violenza e un tocco pulp che faranno sicuramente sentire a casa i fan del cinema di Quentin Tarantino.
7 sconosciuti a El Royale: una torbida storia di confini e di doppiezza
All’inizio del 1969 e della presidenza Nixon, nelle vicinanze del Lago Tahoe si erge l’El Royale, motel attraversato dal confine fra California e Nevada. Il gestore del motel Miles Miller (Lewis Pullman) fa la conoscenza di 4 particolari avventori: Padre Daniel Flynn (Jeff Bridges), la squattrinata cantante Darlene Sweet (Cynthia Erivo), il venditore di aspirapolvere Seymour Sullivan (Jon Hamm) e l’hippie Emily Summerspring (Dakota Johnson). Quello che nonostante il violento temporale che imperversa sull’El Royale si configura come un tranquillo ristoro per i protagonisti, anche a causa dell’inserimento nel quadro della giovane Rose (Cailee Spaeny) e dell’enigmatico Billy Lee (Chris Hemsworth) si trasforma con il passare dei minuti una nottata infernale, che farà emergere la doppiezza dei protagonisti e li porterà a un conflitto sempre più intenso e brutale.
Drew Goddard fa nuovamente centro, confermandosi non soltanto uno dei più talentuosi giovani cineasti in circolazione, ma anche uno dei più attenti verso i personaggi e la loro evoluzione e uno dei pochi a saper ancora attraversare generi e atmosfere con un approccio del tutto fresco e personale. In 7 sconosciuti a El Royale ci troviamo al confine fra l’assolata California e il libertario Nevada e, più concettualmente, sulla linea di separazione fra i primi gioiosi anni ’60 e i più cupi anni ’70, afflitti in successione dall’uccisione di JFK, dalla guerra del Vietnam e dalla presidenza Nixon, culminata con il celeberrimo caso Watergate.
7 sconosciuti a El Royale gioca con le nostre aspettative di spettatore
Un contesto di profondo mutamento etico e sociale, sottolineato dalla splendida colonna sonora, che passa con invidiabile agilità dal soul al rock, esaltando le sequenze più intense e il talento canoro di Cynthia Erivo, splendida protagonista e interprete di gran parte dei brani. Con 7 sconosciuti a El Royale, Drew Goddard gioca però anche con le nostre aspettative di spettatore e con la temporalità del racconto, portando il tema della doppiezza dei personaggi, manifesto fin dai primi minuti, in territori inattesi e piegando la narrazione alla propria volontà, con varie sequenze ripetute da diversi punti di vista e improvvisi flashback volti a scandagliare la personalità e il passato dei protagonisti.
La prima parte di 7 sconosciuti a El Royale è un pregevole esempio di costruzione di atmosfere e personaggi, con pochi eguali nel cinema contemporaneo. Respiriamo la stessa aria malsana dei personaggi, percepiamo la tensione fra loro e pregustiamo le rivelazioni dei loro scheletri nell’armadio, sapientemente dosate da Drew Goddard. Tutto questo grazie a una sceneggiatura calibrata in ogni suo dialogo, in ogni pausa e in ogni sguardo, e a interpreti quasi tutti in stato di grazia, fra i quali si ergono uno spregevole e allo stesso tempo fortemente umano Jeff Bridges e un Chris Hemsworth che lontano dal Marvel Cinematic Universe riesce a rappresentare abilmente la follia e l’istrionismo di un personaggio che ci ha ricordato Charles Manson.
I 7 sconosciuti a El Royale ricordano gli Hateful Eight di Tarantino
Come in un torbido gioco di scatole cinesi, ogni rivelazione ci mostra uno strato superiore di realtà, sconquassando le nostre certezze e delineando sempre più la complessa personalità dei protagonisti. Fra duelli psicologici e verbali, accenni al tema del razzismo, forte critica alla politica del tempo (dal Vietnam a Nixon, passando per i continui riferimenti a un personaggio pubblico che sembra rispecchiare in tutto e per tutto i pregi e i vizi di JFK) e sequenze di grande impatto emotivo, come le interpretazioni di Cynthia Erivo inquadrate da vetri che ricordano le telecamere nascoste di Quella casa nel bosco, 7 sconosciuti a El Royale semina il terreno per efficaci colpi di scena e improvvise scariche di violenza, che si fanno via via più frequenti nella seconda parte del film.
Facile riscontrare l’influenza del cinema di Quentin Tarantino (ammessa dallo stesso regista) e in particolare del suo ultimo lavoro The Hateful Eight, con gli sconosciuti 7 di Goddard costretti a convivere in spazi stretti e a sfogare i loro più brutali istinti in maniera non dissimile dagli odiosi 8 tarantiniani, ma il cineasta americano ha il carisma e lo spessore artistico necessari per saper divergere dal maestro, e portare il racconto in direzioni impreviste. Fra corpi smembrati da colpi di arma da fuoco a distanza ravvicinata, minacce e umiliazioni psicologiche emerge una disillusa rappresentazione della fine del Sogno Americano, annullato dall’utopico inseguimento a un miglioramento della propria vita con facili mezzi e dal fallimento della cultura hippie e definitivamente distrutto dal tragico conflitto del Vietnam e dalla svolta autoritaria di Nixon.
7 sconosciuti a El Royale: un potenziale cult di quest’annata cinematografica
Drew Goddard mette tanta carne al fuoco, dai riferimenti alle intercettazioni che faranno deflagrare il caso Watergate, a flashback estemporanei che diventano quasi storie nella storia, passando per l’esplicito cammino di redenzione e affrancamento di alcuni dei personaggi principali, ma riesce a tenere sempre in mano il racconto, nonostante nell’ultimo atto si danzi pericolosamente sul sottile filo che separa la godibile esagerazione dalla fastidiosa sovrabbondanza. L’anello debole è semmai rappresentato, in maniera non del tutto imprevedibile, dall’inespressiva performance di Dakota Johnson, che ancora una volta non riesce a essere né sensuale né inquietante, né ironica né pungente, affossando il ritmo del film a ogni sua entrata in scena e non facendo così onore a un personaggio potenzialmente esplosivo.
In conclusione, con 7 sconosciuti a El Royale ci troviamo di fronte a un potenziale cult di quest’annata cinematografica, capace di intrattenere senza compromessi o limitazioni e di fotografare al contempo il conflittuale e doloroso passaggio fra due epoche. Un film di solida e avvincente scrittura, di variopinta e avvolgente fotografia e forte di una memorabile colonna sonora (oltre alle musiche originali di Michael Giacchino, troviamo fra gli altri brani Unchained Melody, You Can’t Hurry Love, Hush e Can’t Take My Eyes Off You), che dopo averci mostrato i lati più torbidi dell’umanità ci lascia con la piccola speranza di poter tutti trovare, nonostante i nostri errori e i nostri demoni interiori, una strada appagante e confortante per la nostra esistenza.