A Complete Unknown: recensione del film di James Mangold

La vita privata e l'arte di Bob Dylan al centro del nuovo film di James Mangold. A Complete Unknown, con Timothée Chalamet, Monica Barbaro, Edward Norton e Elle Fanning, arriva nelle sale italiane il 23 gennaio 2025.

Da dove cominciare, se non dall’etichetta. È ironico, perché se c’è un filo conduttore nella vicenda artistica di Bob Dylan, dagli anni ’60 a oggi, è appunto questo: eludere le aspettative, gli sciatti tentativi di incasellamento, in favore di un’arte libera nel corpo e nello spirito. A Complete Unknown, il film diretto da James Mangold (Logan) e nelle sale italiane il 23 gennaio 2025 per The Walt Disney Company Italia, omaggia l’arte e l’enigmatica interiorità di Bob Dylan prendendo di petto le comode generalizzazioni, usandole solo per quello che può tornare utile alla storia e ai personaggi e mantenendo una salutare ambiguità di fondo. Sarebbe a dire? Sarebbe a dire (ecco la sfuggente, opaca etichetta) che il film è un musical senza esserlo del tutto, un biopic, certo, ma di quelli che non rispettano le regole. Racconta, della vita di Dylan, quattro anni decisivi, per la musica come per la vita privata. Ha rispetto per l’icona e curiosità per l’uomo. Delle tante parole chiave (comunità, libertà, elettricità), ce n’è una che arriva al cuore del film con più incisività, la parola equilibrio. Ora il cast: Timothée Chalamet, Monica Barbaro, Edward Norton, Elle Fanning, Scoot McNairy e non solo.

A Complete Unknown: non solo il Bob Dylan icona, poeta, musicista. Al film interessa anche l’uomo

A Complete Unknown cinematographe.it

Quattro anni fatidici, dal 1961 alla svolta elettrica del 1965. James Mangold non si è limitato a dirigere A Complete Unknown, lo ha scritto con Jay Cocks adattando la biografia dell’americano Elijah Wald del 2015 dal titolo Dylan Goes Electric!. Una scelta che paga due volte. Circoscrivere il tempo della storia serve a contenere il più letale difetto del biopic – il film che racconta una vita dall’inizio alla fine finisce per risultare troppo dispersivo – e permette di oltrepassare la patina leggendaria dell’artista, del profeta e del cantastorie per raccontare, di Bob Dylan, un frangente spesso trascurato: l’essere umano. Il tentativo del film è di sanare la ferita espandendosi, intrecciando la leggenda – Dylan l’artista, il messia di una comunità, il genio poetico, il “traditore” – all’uomo, per quanto opaca e sfuggente possa essere la sua schiva interiorità.

Bob Dylan (Timothée Chalamet) arriva a New York nel 1961 e non si chiama ancora così. All’epoca è Bobby Dylan, una variazione che non significherà molto per l’osservatore distratto ma che tradisce l’inesauribile volontà di reinvenzione dell’uomo e dell’artista, nato Robert Zimmerman a Duluth (Minnesota) nel 1941 anche se con questo nome, questo bagaglio e questo passato lo conoscono in pochi. Bob è un aspirante musicista e ha un grande idolo, Woody Guthrie (Scoot McNairy), il più grande artista folk vivente. Lo incontra, malato e irriconoscibile, in una clinica del New Jersey dove gli suona una canzone che ha composto apposta per lui, sconvolgendolo. Al capezzale di Woody c’è anche Pete Seeger (Edward Norton), l’erede al trono folk lasciato libero da Guthrie dopo la malattia. Pete è un grande artista e un uomo nobile e generoso. Adotta immediatamente Bob, lo trascina nella comunità folk di New York e lo aiuta a trovare la sua strada. Non che ce ne sia bisogno.

A Complete Unknown aggira le convenzioni del biopic tagliando corto sull’ascesa musicale del suo eroe. Bob Dylan è un purosangue delle armonie folk e un genio poetico; la sua “aggressione” professionale è rapida, chirurgica, inevitabile. Bob trascina nel vortice chiunque gli stia accanto, nutrendosi delle influenze altrui ma senza lasciarsi travolgere dalle aspettative. Si tratti dell’amica-collega-rivale-partner-amante Joan Baez (Monica Barbaro), la regina del folk americano, della compagna e tormentata fonte d’ispirazione Sylvie Russo (Elle Fanning, ma il suo personaggio è una rielaborazione della vera Suze Ruotolo), del manager Albert Grossman (Dan Fogler) o dell’instabile compagno di viaggio Johnny Cash (Boyd Holbrook): Dylan resta Dylan. Chi sia davvero, Bob Dylan, non è facile capirlo. Fa bene il film a sollevare l’interrogativo. La risposta, soffi o no nel vento, James Mangold la lascia allo spettatore.

Un film costruito sulla ricerca del giusto equilibrio

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L’esile filo narrativo di A Complete Unknown è la metamorfosi di Bob Dylan da enfant prodige della scena newyorchese a profeta del folk per finire come traditore quando, nel 1965, deciso a non lasciarsi possedere dal mondo e stimolato dal guanto di sfida lanciato dai Beatles, sposa la sua metrica surreale, poetica e insieme così precisa a sonorità più aggressive. Basta questo a James Mangold per approcciare il fenomeno Dylan restaurando, nei limiti del possibile, un equilibrio tra il profeta e l’uomo, tra la percezione dell’icona e una dimensione intima e sfuggente. A Complete Unknown è un film costruito su una forte spinta al compromesso costruttivo, intelligente, per mostrarci che non esiste una netta demarcazione tra privato e creazione artistica.

Rilegge la vita del protagonista come un continuum in cui arte e interiorità, turbolenze politiche (la morte di Kennedy, la crisi di Cuba) e guai sentimentali sono parte dello stesso caotico, vitale, carismatico intero. Dylan è il prodotto del mondo che lo circonda, il riflesso della sua interiorità e un’influenza fortissima su tutti quelli che gli stanno intorno. Vale per Elle Fanning/Sylvie, amante incompresa e sminuita nel ruolo di “ragazza di”. Vale per Monica Barbaro, bravissima a restituire la complessità e le mille sfumature del rapporto di amorosa competizione umana e artistica tra la sua Joan Baez e Bob. Vale per Edward Norton/Pete Seeger, mentore di un giovane che ammira, destinato a succedergli e del quale non comprende fino in fondo l’evoluzione. A Complete Unknown è il tentativo in musica, parole e immagini di restaurare molti equilibri. Anche quello tra il biopic classico e un’interpretazione più libera e creativa, tra eleganza della ricostruzione d’epoca e sincerità delle emozioni.

L’equilibrio più interessante e il più complesso da indagare è la scelta coraggiosa di un regista, James Mangold, che forza gli attori a prendersi i personaggi in un modo felicemente contraddittorio. Replicano con precisione chirurgica movenze e esteriorità dei modelli – l’incedere nervoso e monotono che accompagna la prova di Timothée Chalamet, la pacata autorevolezza di Joan Baez per Monica Barbaro, la grazia fragile e dignitosa di Pete Seeger riletto da Edward Norton – ma cantano con le loro voci, adattandole alle particolarità e allo stile dei personaggi (un lavoro tecnicamente sorprendente) senza perdersi totalmente nel ruolo. È l’equilibrio più coraggioso di un film che scava dentro una personalità fuori del comune senza sapere bene cosa ci troverà, lasciando agli altri il compito di tirare le somme. Troppo frettoloso, a volte, nel raccontare epoche, persone e sentimenti, ma con il cuore al posto giusto quando si tratta di coniugare spettacolo, verità umana e creatività esuberante. Non usciamo con l’impressione di aver capito meglio Bob Dylan, ma con un’idea più chiara della (bella) confusione che circonda l’uomo e il mito.

A Complete Unknown: valutazione e conclusione

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Todd Haynes gira Io non sono qui nel 2007, involontariamente indirizzando James Mangold sulla strada da percorrere con A Complete Unknown. Quel film era la biografia sprezzante delle convenzioni, il racconto della vita e dell’arte di Dylan in sette fasi esemplari affidate a sei attori diversi (ricorderete l’audace e riuscitissimo inserimento di Cate Blanchett nel gruppo dei protagonisti). L’estremismo (buono, giusto, da seguire) di Haynes nell’approccio alla materia “costringe” Mangold a posizionare il suo biopic esattamente a metà strada tra la prospettiva autoriale più intransigente e la biografia tradizionale. A Complete Unknown è un film in cui le intenzioni (notevoli) contano più della resa (comunque buona). Sorretto dalla dedizione del quadrilatero protagonista Chalamet-Barbaro-Norton-Fanning, il regista americano omaggia l’icona Dylan senza scordarsi dell’uomo, confermando la sua vocazione di regista capace di coniugare spettacolo e intelligenza anche nel cuore della cinica industria dello spettacolo americano. Lo aspetta Star Wars. Buona fortuna, ne avrà un gran bisogno.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.2

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