Venezia 73 – À jamais: recensione del film di Benoît Jacquot

À jamais è un film di Benoît Jacquot presentato fuori concorso a Venezia 73, con Mathieu Amalric e Julia Roy.

Dopo Venere in Pelliccia e I miei giorni più belli Amalric prende le sembianze di Rey, un regista che presenta un film, in cui la sua ex compagna è anche la sua attrice protagonista. Proprio mentre la pellicola è proiettata in sala per l’anteprima conosce una ragazza, Laura, un’attrice performativa, che recitava nella sala di fianco. Lui segue i suoi movimenti, ne è fin da subito attratto. Allora, senza esitazione, la aspetta all’uscita dei camerini e insieme si dileguano quasi in silenzio. Il loro incontro è semplice ma intenso. Si chiudono nella villa al mare di lui e continuano a vedersi, ad andare a letto, a conoscersi e perché no a dover subire le mancanze dell’uno e le abitudini dell’altro.

Venezia 73 - À jamais: recensione del film di Benoît Jacquot

Lui fuma i suoi sigari sottili, scrive, registra la sua voce mentre lei si perde nel suo mondo, è attratta da lui, un’attrice di teatro invaghita di un regista del suo calibro, forse un po’ meteoropatica ma sinceramente innamorata di lui. L’ex compagna e protagonista del suo film, Isabelle, non sopporta la sua lontananza, lo chiama, lo distrae continuamente e quando finalmente i due si vedono lo spinge, lo punzecchia e lo colpisce nei suoi punti più deboli, quelli temporali. Il loro ultimo incontro in qualche modo lo destabilizza molto, quel a mai più che funge più da presagio che da promessa.

À jamais è una pellicola che indaga e mostra i disagi della separazione, mentale e fisica

Venezia 73 - À jamais: recensione del film di Benoît Jacquot

Rey è come se sfuggisse via, senza pietismi o tragedie. La sua moto, fedele compagna delle sue giornate, lo accompagna verso un destino, arbitrario, tragico (ma chi può dirlo se tale è stato). Laura, lasciata in solitudine, vive nella sua casa, un po’ troppo rumorosa, una villa grande anche solo per due persone, uno spazio vuoto eppure pieno che non smette di evocare Rey. Laura non smette di pensare a lui, lo sogna, lo brama, lo aspetta, prova ad ascoltarlo, a trovarlo nei rumori, nei passi incespicati, nella pioggia battente, e in un qualche modo, attraverso la sua arte riesce ad uscirne fuori, attraverso deliri di assenza si appropria della sua presenza.

À jamais è una pellicola che indaga e mostra i disagi della separazione, mentale e fisica, il lutto e la solitudine, la perdita e il ritrovamento, la presenza e l’assenza. La pellicola espone con intelligenza e perspicacia il modo di evocare una persona, un modo di scindere realtà e finzione e lasciarli fluire nell’arte.

Il regista è abile nel conclamare una tacita sofferenza e sviscerarla in tutta la pellicola

Venezia 73 - À jamais: recensione del film di Benoît Jacquot

Laura è un’attrice di teatro e come tale è divisa nel suo essere, lei è una ripetizione di qualcosa, lei mostra qualcosa e si annulla, è sia visiva che invisibile, è duplice e assente, una contraddizione che nella seconda parte della pellicola è ben realizzata, proprio perché il realismo di cui è scissa la pellicola sta nel rappresentare un momento di eterna pazzia e il sovvertimento di quel delirio attraverso l’arte.

Il regista è abile nel conclamare una tacita sofferenza e sviscerarla in tutta la pellicola, dopo tutto anche la pellicola si può ben dividere in due parti, una prima che vaga in punta di piedi con le atmosfere da comedie humaine, mentre la seconda è ben stratificata, quasi irreale ma potente, delirante e vorticosa. Laura porta avanti una storia, una trama interiore sofferta e succube di un uomo che l’ha attratta nella sua tela, nei suoi paradigmi, nelle sue euforie, e lei le fa sue, tutte le sue abitudini, i suoi modi di fare e di dire, diventano i suoi, in una duplice interpretazione che poi riesce a sublimare attraverso la propria elasticità attoriale.

Il regista di Trois coeurs gioca molto bene con interiorità e superficialità, si destreggia con scene illusorie e metafisiche, sceglie di non spiegare, di dare un volto ai fantasmi, un nome e un colore al torbido vuoto di chi si dilegua all’improvviso.

 

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

3.1