A Jazzman’s Blues: recensione del film Netflix
Un melodramma ambizioso e genuino che avrebbe dato il suo meglio in sala.
Presentato al festival di Toronto agli inizi di settembre, A Jazzman’s Blues è disponibile nel catalogo Netflix dal 22 settembre 2022.
Tyler Perry, dopo trent’anni di carriera focalizzati sul perfezionare la costruzione di melodrammi sia al cinema che a teatro, torna a parlare di famiglie disfunzionali in un’America profondamente divisa dall’odio razziale e dalle difficoltà per la comunità nera di rincorrere i propri sogni.
La trama di A Jazzman’s Blues
Georgia, 1940. Bayou è il figlio minore nato in una famiglia disfunzionale in cui l’unica a mostrargli un po’ di affetto è sua madre, mentre il padre e il fratello lo prendono costantemente in giro per il suo carattere timido e riservato oltre per il suo scarso talento nel suonare la tromba. Leanne vive una vita simile a quella di Bayou: a casa è vittima dei soprusi del burbero e possessivo nonno, nella comunità è derisa e malvista. In un momento di derisione che li vedono entrambi vittime, i due giovani si conoscono e finiscono in fretta per innamorarsi, incontrandosi di nascosto durante le notti estive lontani dagli occhi delle rispettive famiglie.
Quando lui scopre gli abusi a cui Leanne è sottoposta, le chiede di sposarlo convinto che una fuga sia l’unica soluzione per entrambi di vivere una vita felice. Ma la situazione prende una piega diversa e Leanne è costretta a partire con sua madre.
Gli anni passano e Bayou e sua madre trovano rifugio in una nuova città in cui lavorano durante il giorno come lavandai, ma di sera gestiscono un bar. La loro nuova vita, all’apparenza, è perfetta, ma sotto quel velo di precaria felicità si nasconde il razzismo a cui sono costantemente sottoposti.
Quello tra Bayou e Leanne è un legame indissolubile, anche dopo anni dalla loro drammatica separazione. Quando i due si rincontrano, però, Leanne si è appena sposata con un ricco ereditiere bianco che, data la carnagione della ragazza, crede che anche sua moglie sia bianca. L’incontro tra i due non fa altro che alimentare i conflitti razziali tenuti a bada solamente da una pericolosa dinamica di potere.
A Jazzman’s Blues è un buon punto d’arrivo nella carriera di Perry
La solita cifra stilistica di Tyler Perry fatica ad essere visibile in A Jazzman’s Blues. Più famoso in patria che in Italia, Perry ha costruito la sua carriera producendo in serie film, serie tv e opere teatrali su famiglia disfunzionali che girano attorno a protagoniste nere disprezzate che trovano un rifugio nella religione e sugli insegnamenti cristiani quali il perdono e la dignità. Perry è stato ampliamente apprezzato dalla critica americana per incarnare il sogno americano: l’autore, senza nessuna base accademica, ha scritto, prodotto, diretto e ha recitato in gran parte del suo lavoro. Le lodi, però, provengono dalla critica più classica e conservatrice, che apprezza delle sceneggiature che difficilmente trovano una nicchia nel panorama cinematografico odierno. Molti altri critici e registi – tra cui Spike Lee – hanno invece criticato aspramente Perry per mettere in scena personaggi neri stereotipati.
Il film ha, comunque, dei momenti in cui abbraccia il melodramma nella sua forma più pura, alcune volte sdolcinata e a tratti banali, ma rappresenta un punto d’arrivo per l’autore.
Con A Jazzman’s Blues, Perry cambia registro e abbandona le tematiche religiose, le parrocchie come ambientazioni principe delle sue storie e i costumi esagerati. La sceneggiatura si concentra sulla costruzione e l’evoluzione dei personaggi, tenendo così in piedi una storia che – fin dal prologo drammatico – presenta poche sorprese.
Perry firma un buon melodramma musicale, ma cade nella costruzione troppo classica della coppia
Sebbene il finale della storia sia dichiarato già dalla sequenza iniziale, A Jazzman’s Blues riesce a mantenere costante la soglia d’interesse evitando i tempi morti per merito della colonna sonora creata ad hoc dal famoso compositore Aaron Zigman (Le pagine della nostra vita, Sex and the City, I Saw the Light) i cui numeri musicali danno il ritmo all’intero film grazie anche al voice-over che descrive i punti salienti della vita dei due giovani. All’impianto sonoro curato fa compagnia una regia dinamica che riesce a catturare l’essenza delle vicende che si susseguono sullo schermo: dalle scene più vitali ambientate nei club e nei bar notturni alle sequenze drammatiche in cui la situazione politica degli anni Quaranta la fa da padrona.
Proprio questo ostacola la storia d’amore tra Bayou e Leanne, una relazione il cui dramma è preannunciato fin dal loro primo incontro. La dinamica tra i due è il vero (ed unico) difetto del film a causa di una scrittura troppo classica che è la cifra stilistica che contraddistingue tutta la carriera di Perry.
I due protagonisti passano in rassegna ogni fase dell’innamoramento e lo fanno nel modo più classico possibile, anche se questo vuol dire essere una nota stonata all’interno di un film che vuole mettere in luce le dinamiche razziali dell’America di quegli anni. Ne è un esempio l’eccessiva possessività di Bayou quando Leanne cerca di spiegargli perché sia stata costretta a sposarsi e a fingersi bianca. La burrascosa relazione tra i due, però, mette in risalto le dinamiche tra i personaggi secondari che sono il vero fiore all’occhiello di A Jazzman’s Blues.
In conclusione
È nella gestione degli altri personaggi e delle stoyline secondarie che la sceneggiatura fa un salto di qualità, diventando avvincente e donando al film quella profondità che aveva bisogno per spiccare nel catalogo della piattaforma statunitense. Il timido Bayou, la disperata Leanne, la popolazione bianca sempre sul piede di guerra nel rivendicare il proprio potere preso con la violenza e la paura e la voglia di riscatto sono gli elementi che riescono a donare ad A Jazzman’s Blues quella giusta drammaticità nel parlare di un tema così importante senza mai cadere nella retorica.
L’autore ha impiegato molteplici anni della sua carriera per arrivare ad A Jazzman’s Blues, preceduto – come è stato accennato – da progetti più o meno convincenti senza i quali, però, Perry non avrebbe avuto la maturità necessaria per parlare in modo onesto e sincero di un tema così delicato. Quel che dispiace guardando la buona riuscita dell’intero reparto estetico è che il film non abbia avuto l’occasione di essere visto in sala, dove avrebbe sicuramente dato il suo meglio e dove, probabilmente, la storia d’amore tra i due protagonisti avrebbe avuto tutt’altro risalto grazie al grande schermo.