A letto con Sartre: recensione film di Samuel Benchetrit
A letto con Sartre, al cinema dal 26 gennaio 2023, segna il ritorno di Samuel Benchetrit al racconto poetico della periferia.
Un uomo dall’aria stanca ferma l’auto e si incammina lungo un quartiere familiare brandendo un’ascia, diretto verso l’abitazione di qualcuno che deve del denaro al suo capo. È indeciso, deve uccidere quel qualcuno, oppure no? Ci riflette e s’incammina come se fosse l’azione più normale del mondo. Così comincia A letto con Sartre. Nel frattempo un mafioso temibile e violento frequenta un corso di poesia, cercando di trovare l’ispirazione per poter conquistare la cassiera del supermercato locale della quale è perdutamente innamorato, o così gli sembra che sia. Più tardi invece uno spettacolo teatrale scalcinato e bizzarro perde continuamente i suoi numerosi candidati al ruolo principale, tra macabri omicidi e tragici, ma divertentissimi incidenti, facendo restare l’intera compagnia con il fiato sospeso, non tanto per la presenza apparentemente inevitabile della morte, quanto per la riuscita dello spettacolo stesso.
Queste sono soltanto alcune delle vicende che si intrecciano tra loro nel film probabilmente più riuscito, sincero e curato di Samuel Benchetrit, A letto con Sartre, che torna ancora una volta alla coralità, dimostrando una gestione dei tempi narrativi e degli interpreti davvero senza precedenti e il cui lavoro sembra rifarsi tra strizzate d’occhio e veri e propri rimandi al cinema dei Fratelli Coen, così come di Quentin Tarantino e poi al modello svedese ferocemente grottesco, eppure ironico di Roy Andersson, che modella il suo cinema come opera a metà strada tra teatro e pittura. Una forma quest’ultima che è facile ritrovare nella ricerca registica e stilistica di Benchetrit fin dai primi cortometraggi.
Il racconto della periferia nel cinema di Samuel Benchetrit
La periferia rurale è sempre un luogo potenzialmente interessante. Appartiene alla città, pur non appartenendole affatto, mantenendo un’indipendenza totale, garantita dall’esistenza di regole proprie che vengono stabilite e rispettate da individui singolari e in qualche modo unici, la cui quotidianità paradossale e grottesca, sarebbe estremamente complessa da rintracciare altrove, se non lì, nel luogo che l’ha generata e che giorno dopo giorno continua ad alimentarla.
Se quella de Il condominio dei cuori infranti era una periferia urbana capace di confrontarsi con il caos della società appena fuori la porta, Dog (Chien), così come A letto con Sartre, collocano le loro vicende in una periferia rurale, fatta di quartieri pressoché desolati, veri e propri deserti e poi ancora spiagge dimenticate e supermercati da due o tre corsie e nulla più.
Benchetrit sembra lavorare con i topos del racconto di provincia, quel luogo che più di ogni altro è terra degli ultimi, oppure di nessuno, in cui è concesso vivere secondo le proprie regole e leggi, modellando la vita perciò anche la morte a seconda delle proprie aspirazioni e volontà. In cui tanto per fare un esempio è concesso a due attempati e curiosi criminali locali strangolare oppure malmenare dei ragazzini del liceo, per costringerli a prendere parte alla festa di compleanno della figlia teenager del boss locale, senza correre alcun rischio.
Non c’è legge nei luoghi che Benchetrit racconta, così come ordine o moralità. C’è soltanto la natura bizzarra e grottesca degli individui che li vivono. Non è casuale perciò che si tratti quasi sempre di non luoghi, mai chiaramente nominati o definiti, soltanto sfondi o tele opache ben poche idealizzate, necessarie unicamente alla messa in scena di frammenti di vita, gag, o sequenze destinate ad interrompersi dopo appena un paio di minuti, così care al registro cinematografico di Benchetrit.
Le influenze stilistiche e cinematografiche di A letto con Sartre
Ecco che torna il modello di Roy Andersson, che con You, the living, Canzoni del secondo piano e Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, ci ha abituati nel corso degli anni ad un cinema fatto di scenette e frammenti di vita incredibilmente statici, eppure dalla fortissima carica narrativa e scenica.
Benchetrit, qui in veste di sceneggiatore e regista, si avvicina sempre più a quel modello, ponendo lo spettatore di fronte ad un film surreale, grottesco e sentimentale che identifica nella sua volontà del non prendersi mai realmente sul serio, la chiave più adatta per il raggiungimento della piena credibilità e partecipazione emotiva del pubblico, rispetto ai destini paradossali, tragici, commoventi, feroci, quotidiani e nerissimi dei suoi individui.
Inevitabilmente quello che più colpisce è la forza e l’amore che Benchetrit conserva per la scrittura, basti pensare al frammento della parabola di Eric Lamb, che vorrebbe farsi metafora sul sentimento di appartenenza familiare, elaborato da un criminale amante della scrittura appena dopo una mattinata di violenze e immoralità e che grida a gran voce Fratelli Coen, così come Quentin Tarantino, riportandoci a quel modello di umorismo e a quella scala e contrapposizione così unica e ormai riconoscibile tra registri bassi e registri alti, parodiando la realtà criminale e la violenza, servendosi di intellettualismi, riflessioni ed esistenzialismo fine a sé stesso, o quasi.
Samuel Benchetrit si conferma dunque come una delle voci più interessanti del panorama cinematografico francese contemporaneo. Dopo Il condominio dei cuori infranti e Dog, torna con un film apparentemente minuscolo, ma dalla portata simbolica, poetica e narrativa incredibilmente vivida e riflessiva che forte di un cast sempre fedelissimo al suo autore, da Bouli Lanners a Gustave Kervern – Benchetrit lavora con gli stessi interpreti fin dalle prime opere – e di una scrittura estremamente personale, colta e ferocemente ironica, non può che conquistare anche lo spettatore meno avvezzo al cinema d’autore francese e non.
Presentato nella sezione Première al Festival di Cannes, A letto con Sartre è in uscita nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 26 gennaio 2023, distribuito da I Wonder Pictures.