A Working Man: recensione del film di David Ayer

Un action vecchio stile firmato dall’insolito duo Stallone/Ayer, con un Jason Statham in gran spolvero e un buon mix di violenza e autoironia. In sala dal 10 aprile

A differenza di The Beekeeper, il precedente lungometraggio di David Ayer, interpretato anch’esso da Jason Statham, medesimo interprete protagonista di A Working Man, l’elemento d’interesse qui non ha più a che fare con la messa in scena dell’azione dura e pura, piuttosto con il ritmo e i toni di un lungometraggio che pur figlio di un cinema nuovo, guarda ai tempi di un cinema che è stato. Com’è possibile?

A Working Man: recensione del film di David Ayer

Sylvester Stallone e David Ayer per un glorioso action vecchio stile

A co-scrivere e produrre A Working Man figura nientemeno che Sylvester Stallone, interessato tanto alla trasposizione cinematografica del romanzo Levon’s Trade di Chuck Dixon, quanto alla riproposta di un modello filmico che ben conosciamo, soprattutto attraverso il suo corpo e volto così evocativo e riconoscibile. Proposta che è senz’altro mancata al cinema ultimo appartenente alla linguistica dell’action, che si parli di panorama statunitense oppure globale. Ecco perché pur distante da ciò che Statham di fatto veicola, l’immaginario di John Rambo, D-Tox e Bullet to the Head rivive ferocemente e gloriosamente tra le sequenze dinamiche e poi di stasi di A Working Man, il dodicesimo lungometraggio da regista di David Ayer.

Se è vero che Statham da diverso tempo a questa parte, incarna già l’ideologia e mitologia impeccabile e faticosamente costruita del Last Action Hero, è vero anche che molta della sua filmografia ha a che vedere con eroi senza macchia e senza paura, accomunati da un elemento comune che ricorre instancabilmente: nessuno ha mai realmente qualcosa da perdere, se non la solitudine, o la vita stessa. Eppure il tempo è trascorso perfino per Statham e da qualche anno a questa parte, potremmo dire da La furia di un uomo – Wrath of Man di Guy Ritchie, ai suoi eroi implacabili ed estremamente feroci è stato associato l’elemento della perdita, oltre il solito rischio e l’adrenalina. Perché?

Il pubblico deve poter percepire che un interprete action non più giovane, desideri mettersi alla prova non soltanto come esperienza di divertimento e di scontata dimostrazione del: “Io posso farlo ancora” – un esempio su molti, Tom Cruise e il suo instancabile rapporto con Mission Impossible Saga – bensì come esperienza di rischio. L’eroe non più giovane per forza di cose deve avere qualcosa da perdere, qualcosa a cui rinunciare, osservando perfino la possibilità del sacrificio. David Ayer, che con Jason Statham collabora per la seconda volta dopo il già citato The Beekeeper, sembra aver colto appieno il significato profondo di tale riflessione, nonché richiesta vera e propria, tanto da parte del pubblico generalista del cinema action, quanto dei fan del divo in questione.

A Working Man: valutazione e conclusione

Ecco perché Statham si batteva in The Beekeeper, ecco perché torna a battersi in A Working Man. Non si tratta più semplicemente di un vendicatore solitario senza macchia e senza paura, bensì di un ex soldato, o per meglio dire un’ex macchina da guerra, che per desiderando una vita tranquilla – O per dirla in termini differenti e immediatamente riconoscibili, una vita regolata, tornando al dialogo cult a due tra De Niro e Pacino di Heat – si ritrova suo malgrado a dover imbracciare le armi ancora una volta, ricorrendo a quelle pericolose abilità inizialmente sepolte e in definitiva rispolverate. Gli eroi del cinema di Ayer però non sono soltanto incorruttibili e inarrestabili, ma anche malinconici e segnati dal peso della colpa. Levon Cade (Jason Statham) infatti non ha potuto salvare la moglie dalla depressione, sfociata in un tragico suicidio, perdendo poi la custodia della figlioletta Merry (Isla Gie).

Da qui la furia necessaria a risvegliare il mostro celato nelle profondità dell’uomo qualsiasi e la rabbia scaturita dalla possibilità di perdere quella tranquillità faticosamente costruita e raggiunta. Gli eroi di Statham d’altronde mantengono le promesse, costi quel che costi. Morto dopo morto, proiettile dopo proiettile. Dopo The Beekeeper, un ottimo modello di cinema action vecchio stile, con un Jason Statham in gran spolvero e un inedito David Harbour. Sangue, botte e sparatorie a volontà, nel mezzo autoironia, grottesco e osservazione di un male effettivamente reale, che coinvolge tanto gli USA, quanto il resto del mondo, ossia il traffico di essere umani. Ayer si mette a servizio del dinamismo e della spettacolarità e l’obiettivo è ancora una volta raggiunto.
A Working Man è al cinema a partire da giovedì 10 aprile 2025. Distribuzione a cura di Warner Bros. Italia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1