Acid Space: recensione
L’opera prima del regista Stefano Bertelli, infatti, segna un ambizioso punto di svolta all’interno dell’animazione in stop motion. Il film, tutto italiano, è infatti il primo lungometraggio animato con questa tecnica ad essere interamente realizzato in carta. Un’idea anticonvenzionale, che riesce tuttavia a rendere bene sullo schermo e a rappresentare qualcosa di nuovo e, finora, mai visto.
La storia, sceneggiata da Sabino Muggeo, è fortemente incentrata sulla musica: Phil, talentuoso batterista con un braccio meccanico e la sua band, i Paperback Music, si apprestano ad esibirsi in un importante concerto a Big Depression. Giunti sul posto, però, si rendono conto di aver sbagliato giorno ma, allo stesso tempo, scoprono che il loro viaggio non è stato del tutto vano: da un passaggio segreto, infatti, ecco spuntare DoreMi, un simpatico alieno con le sembianze di un polpo ed indiscutibili doti di batterista. L’intera band si ritroverà così coinvolta in un inaspettato viaggio interspaziale fino a Planio, pianeta natale di DoreMi, dove il malvagio dittatore Balthazar ha bandito la musica.
E di musica ce n’è tanta, in Acid Space, così come c’è tanto colore. Le atmosfere aliene e fantasiose sono rese benissimo dalle complesse architetture, tutte in carta, realizzate da Riccardo Orlandi. Le scenografie sono ardite, realizzate con colori brillanti e perizia di particolari, pur rispettando lo stile minimale che permea tutta la pellicola. I protagonisti, anch’essi di carta, sono volutamente realizzati in maniera semplice, con poche caratteristiche somatiche e in uno stile che ricorda i disegni dei bambini. Non si tratta di mancanza di capacità (lo dimostrano i complicatissimi dettagli presenti all’interno del film) ma di una precisa scelta, che contribuisce a rendere l’idea di un’avventura fantastica e fuori dall’ordinario, una scelta fresca e fuori dal convenzionale.