Adagio: recensione del film di Stefano Sollima
Terzo capitolo della trilogia criminale romana con protagonisti Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Valerio Mastrandrea e Toni Servillo.
In concorso alla 80ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia il film di Stefano Sollima che dopo le esperienze all’estero, Soldado e Senza rimorso, torna nella “sua” Roma con Adagio, con protagonisti Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini, Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni e Silvia Salvatori. Dal 14 dicembre 2023 in sala, una produzione The Apartment Pictures, Vision Distribution, Alterego, in collaborazione con Sky e Netflix.
Manuel ha sedici anni e cerca di godersi la vita come può, mentre si prende cura dell’anziano padre. Vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune foto a un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua portata. Infatti i ricattatori che lo inseguono si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone e il ragazzo dovrà chiedere protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.
Adagio – Fine di un’epoca criminale
Stefano Sollima non può a fare a meno del crimine, con le sue opere è arrivato nei meandri più cupi della malavita, raccontandoci le parabole sanguinarie dei suoi protagonisti, dalle serie di culto Romanzo Criminale e Gomorra, ai film, a partire da ACAB – All Cops Are Bastards, primo capitolo della trilogia criminale romana proseguita con Suburra e che si conclude proprio con Adagio. Qui vediamo tre criminali sul viale del tramonto: “Daytona” (Servillo), anziano e ormai mentalmente instabile, “Il cammello” (Favino) uscito dal carcere perché malato terminale, e “Polniuman” (Mastandrea), cieco e solo. I tempi della lotta per la supremazia, degli scontri sanguinari sono un ricordo lontano, ma sarà Manuel, figlio di Daytona a scompaginare la situazione. In una Roma piegata dagli incendi, dove l’aria è irrespirabile e i blackout sono continui, la caccia al ragazzo da parte di un gruppo di criminali riaccenderà le faide di un tempo.
La notte nella Capitale è sempre più buia, il caos regna sovrano e Sollima segue queste anime criminali tra inseguimenti serrati e momenti di riflessione sui loro destini e su quello di Manuel che nonostante i suoi errori e l’ambiente in cui è cresciuto conserva ancora una purezza d’animo che non appartiene a chi lo insegue e anche in chi cerca di aiutarlo.
Il capitolo finale di tre vecchie leggende della Roma criminale però finisce per essere presto una stanca ripetizione dei tanti film e delle serie che hanno raccontato la malavita, in primis della filmografia stessa di Sollima: siamo lontani dalle vicende avvincenti del Libanese, del Dandi e del Freddo in Romanzo Criminale, da quella Roma fetida, bagnata da una pioggia continua che accompagnava gli intrighi tra criminalità organizzata, politica e Vaticano in Suburra, da quel modo puntuale di raccontare il fascino del male. Adagio, scritto dallo stesso Sollima con Stefano Bises, sembra aver esaurito la carica deflagrante e appassionante che ha caratterizzato i racconti criminali del regista romano anche all’estero, capace di infondere bellezza decadente anche agli orrori più indicibili.
Adagio: valutazione e conclusione
“Daytona”, “Il cammello”, “Polniuman” sono tre personaggi dolenti, finiti, e ognuno di loro reagisce al loro destino in modo diverso: Servillo, Favino e Mastandrea restituiscono in maniera convincente le sfaccettature dei loro personaggi che hanno sui volti i segni di un’epoca di sangue e morte. Le loro interpretazioni, come quella di Adriano Giannini in un ruolo che non vi sveleremo, e la maestria di Sollima nel dirigere le loro storie sullo sfondo di una Roma distopica, tra fuoco e cenere, sovraffollata, caotica e sporca, immagini potentissime, non bastano a risollevare una trama debole e prevedibile.