Addio mia Regina: recensione del film con Léa Seydoux e Diane Kruger
Una regina dal volto umano, quella rappresentata nel film di Benoît Jacquot con Diane Kruger, Léa Seydoux, Virginie Ledoyen, Xavier Beauvois e Noémie Lvovsky nel cast.
Addio mia Regina (Les adieux à la reine) è un film di Benoît Jacquot con Diane Kruger, Léa Seydoux, Virginie Ledoyen, Xavier Beauvois e Noémie Lvovsky. Tratto dal romanzo Addio mia regina di Chantal Thomas, la pellicola racconta del legame tra Maria Antonietta e la sua lettrice personale, Sidonie Laborde, uno spaccato di vita inserito nella cornice reale di Versailles nel luglio del 1789, durante le giornate che precederanno l’insurrezione del popolo francese fino alla presa della Bastiglia.
Addio mia Regina mostra un nuovo volto di Maria Antonietta, meno vizioso, dissoluto o sfarzoso, per far posto a una persona circondata da dame e servitù presenti e asservite alla sua benedizione e al suo piacere. Maria Antonietta non è solo quella donna fastosa, piena di capricci e che si perde nei suoi diletti principeschi; è tutto ridimensionato, viene ricreato un ritratto più umano che la pone in contrapposizione con due donne della sua corte: Sidonie Laborde e la Duchessa de Polignac.
Due donne che si agitano nei suoi pensieri, che abitano i suoi stessi spazi ma che occupano due posti decisamente trasversali nella sua mente. Sidonie è segretamente e follemente invaghita di Maria Antonietta, ma Sidonie è solo una lettrice, una dama di compagnia e sa di non poter nemmeno sfiorare la regina, o potersi compromettere con una dichiarazione viscerale. D’altro canto Maria Antonietta tenta, senza grande successo, di mascherare la sua attrazione e la sua vicinanza con la Duchessa de Polignac.
La pellicola orbita attorno a queste relazioni pericolose, a questo trilatero d’amore incompiuto, disperato, mai soddisfatto, ma che si perde totalmente in fieri. Addio mia regina non riesce minimamente a creare tensione, a imporsi nella mente dello spettatore, non riesce ad elevarsi dall’esegesi storica, resta imprigionato in una sceneggiatura che non si sbilancia mai, che non coglie i tratti distintivi dei personaggi, non lascia trasparire alcuna complicità.
Addio mia regina non riesce ad elevarsi dall’esegesi storica
Il contesto è offuscato, quasi azzerato, c’è un’evocazione voluta della realtà francese che è sia un’autodeterminazione che un limite. Il desiderio di lasciar trasparire tutto ciò che circonda Versailles attraverso dicerie, lettere e voci di corridoio, al fine di concentrare tutta l’attenzione sul dramma reale che attornia la regina, risulta decisamente fallimentare. Le interpretazioni di Diane Kruger e Léa Seydoux sono una conseguenza di un’impostazione visiva e narrativa errata e disadorna, da cui le due attrici non riescono a isolarsi, rimanendo ingabbiate, senza riuscire a dare enfasi o colore ai loro personaggi, che di per sé avrebbero potuto dare moltissimo alla resa finale.
Jacquot lascia intravedere una donna, una regina in preda ad un’amicizia ossessiva, un amore saffico apparentemente platonico, che non ha basi storiche certe. La narrazione si insinua tra le pieghe di una corte ottusa, suppurata, che si gingilla con la propria evanescenza, contrastandosi con una realtà sempre più vicina e imminente, che partiva da Parigi, dal ventre di un paese desideroso di esaudire la propria rivalsa contro il potere egemonico di re Luigi XVI.
Addio mia Regina: la mise-en-scène ha decisamente la meglio su ogni ardore
La resa estetica è parte essenziale della pellicola: scenografia e costumi sono ineccepibili, strumenti preziosi che non affondano nella sovrabbondanza o nella maestosità. Le scene sono fotografate con grande precisione, con un certo senso della misura, rappresentando luoghi e momenti di corte muovendosi in spazi spesso angusti, stanze spoglie, ora ripresi con fermezza ora con frenesia. Addio mia Regina ha certamente una componente teatrale forte, ma che non regala facilmente intense emozioni, è tutto trattenuto, non c’è battito, non c’è passione: la mise-en-scène ha decisamente la meglio su ogni ardore.