Aftermath – La vendetta: recensione del film con Arnold Schwarzenegger
Tratto da una storia vera, Aftermath – La vendetta racconta il dolore di due uomini a cui un terribile incidente aereo ha stravolto l'esistenza. Fino alle più estreme conseguenze.
Abbiamo a lungo aspettato il ritorno sulle scene di Arnold Schwarzenegger, dopo i suoi otto anni da governatore dello Stato della California. Ci siamo chiesti anche se ci sarebbe mai tornato, su quelle scene, o se fosse semplicemente giunto il momento di ritirarsi a vita privata. Senza calcare troppo la mano Schwarzy nel 2012 si è riaffacciato al cinema, inanellando inizialmente alcuni ruoli decisamente interessanti. Dalla strizzatina d’occhio dei Mercenari all’attesissima riapparizione nella saga Terminator, tutto ci è parso abbastanza già scritto e inevitabile, ma piacevole.
Fino all’approdo al notevole Contagious – Epidemia mortale (2015), in cui il nostro culturista di riferimento smette i panni del last action hero per indossare forse per la prima volta quelli del sofferente essere umano, in un dramma delicato e introspettivo. Un vero e proprio testamento artistico, sulla carta. Ma invece Arnold ha continuato a girare, iniziando a scegliere male e abbandonandosi alle produzioni di serie B. A questa categoria appartiene purtroppo anche Aftermath – La vendetta, e diciamo purtroppo perché il film di Elliott Lester avrebbe potuto avere – con un po’ di impegno in più – ben altra caratura.
Aftermath – La vendetta: le conseguenze dell’errore
Lo spunto di partenza è una storia vera che a cavallo tra 2002 e 2004 colpì molto l’opinione pubblica tedesca: si narra di una sfortunatissima e fatale collisione tra due aerei, e della vendetta che l’architetto russo Vitaly Kaloyev attua nei confronti del controllore di volo Peter Nielsen, ritenuto responsabile dell’incidente e quindi anche della morte di tutta la famiglia di Kaloyev. Più che sulla rappresaglia, tuttavia, l’opera di Lester si concentra sull’aftermath, ovvero sulle conseguenze che questo tragico evento ha avuto sui vari caratteri in gioco.
È un film di stasi, non di azione, e per quanto questo possa infastidire chi – tra titolo italiano fuorviante e presenza di Schwarzy – si aspettava un approccio maggiormente thriller, guerrafondaio e ritmato, è indubbio che la scelta di campo operata da regia e sceneggiatura sia alquanto coraggiosa e inaspettata. Aftermath è un film contemplativo, cupo, funereo; eppure (e, aggiungiamo, purtroppo), l’attenzione encomiabilmente atipica del film per i personaggi, l’umore e il realismo psicologico non rendono la pellicola necessariamente buona.
La posta in gioco emotiva
Al di là delle continue immersioni nella rappresentazione dello stress post-traumatico (e da questo punto di vista ci preme sottolineare l’ottima interpretazione di Scoot McNairy nei panni del controllore devastato per l’accaduto, mentre Arnold mostra qui un po’ tutti i suoi limiti recitativi), Aftermath non ha mai nulla di sostanziale da dire sul processo del lutto. Mostrare quanto i due personaggi principali siano consumati dal dolore può funzionare, come espediente narrativo e focus della rappresentazione, solo in parte, nel momento in cui non viene sorretto da altro.
Alla pressione emotiva che anticipa e porta all’incontro decisivo fra i due fa da contraltare una vicenda superficiale e lacunosa, priva di tensione, che ricorda più una asettica ricostruzione televisiva che un film prodotto per il cinema. Non stupisce affatto quindi che Aftermath sia stato un flop in America, e che in Italia sia stato distribuito direttamente in home-video. Ma resta del rammarico per le potenzialità inespresse di una pellicola a cui, evidentemente, i suoi stessi creatori non hanno creduto fino in fondo, accontentandosi di un risultato mediocre nonostante la qualità del materiale di partenza.