Aftermath – Orrori dal passato: recensione del film di Peter Winther
Il trasferimento in una nuova casa, tentativo di una coppia di superare una crisi, si rivela l'inizio di nuovi orrori in Aftermath - Orrori dal passato, il film diretto da Peter Winther.
Una coppia in crisi e l’acquisto di una nuova casa, in precedenza teatro di un efferato delitto. Sono queste le premesse di Aftermath – Orrori dal passato, horror diretto da Peter Winther e distribuito su Netflix. Winther ha esordito nel cinema con il ruolo di produttore associato, legandosi in particolare al nome del regista Roland Emmerich, con il quale ha lavorato a titoli come Stargate, Independence Day, Godzilla e Il patriota. All’alba del nuovo millennio ha poi deciso di intraprendere la carriera di regista, affiancandola a quella di produttore, e Aftermath – Orrori del passato è il suo secondo lungometraggio.
La sinossi è una delle più ricorrenti nel genere horror, declinata in svariate forme, e ovviamente anche in questo caso la storia è parzialmente ispirata a fatti realmente accaduti, che hanno coinvolto una coppia di San Diego nel 2015. I ruoli di Natalie e Kevin, i due protagonisti, sono interpretati da Ashley Greene, apparsa recentemente in Bombshell – La voce dello scandalo, e Shawn Ashmore, uno degli X-Men nell’omonima saga cinematografica.
Aftermath – Orrori dal passato: passato e presente nella trama del film
Il film inizia dopo un brutale omicidio-suicidio in una villa, che ha portato alla morte di una donna e di suo marito. Kevin, insieme a due colleghi, è l’addetto alla pulizia della scena del crimine. Lui e Natalie, un’aspirante stilista alla ricerca di investitori, sono una giovane coppia che sta tentando di superare una crisi nata dal tradimento della donna. Per iniziare una nuova vita e lasciarsi il passato alle spalle decidono di acquistare una nuova casa ed essendo la loro situazione economica non particolarmente florida, si presenta l’occasione della villa da poco ripulita da Kevin, svalutata a seguito del macabro accaduto. Dopo l’iniziale ritrosia di Natalie, i due si trasferiscono, ma il passato non rimane a lungo sepolto, sia quello della coppia che quello della casa. Iniziano a verificarsi strani e inspiegabili episodi che mettono in pericolo in primis Natalie. Conseguentemente, la fiducia reciproca torna a incrinarsi.
Se tradizionalmente in molti horror la casa in cui vanno ad abitare i protagonisti è antica e isolata, e i segreti che nasconde lontani nel tempo, Aftermath si affranca parzialmente da questo luogo comune variandone la forma. L’abitazione in cui si trasferiscono Natalie e Kevin è una villa moderna, dotata di ogni comfort tecnologico, ed è proprio su questo aspetto che Wither modula parte della suspense. Gli orrori provengono dal presente, più che dal passato, generati da “demoni” legati alla più stretta contemporaneità narrativa e sociale, nascosti nell’oggi e nella realtà. Un presente in cui la possibilità di manipolazioni e interferenze espone a molteplici pericoli.
Gli orrori del privato
Natalie e Kevin si trovano ad affrontare una duplice insidia. Il loro rapporto non è più lo stesso da quando Kevin ha scoperto il tradimento della compagna e i tentativi di ripristinare la fiducia sembrano destinati al fallimento. Sono proprio le conseguenze del tradimento a rappresentare l’oscura minaccia che si affaccia sul loro avvenire. I tetri avvenimenti che si verificano dopo il loro trasferimento altro non sono che il riflesso delle insicurezze e delle crepe insinuatesi nella coppia. Aftermath sembra infatti focalizzarsi maggiormente sulle complessità dei rapporti e sugli orrori che possono generare, non riuscendo però ad amalgamare questa componente con quella di genere e riducendo spesso i momenti orrorifici a sequenze quasi marginali e sconnesse.
Peter Winther, che ha scritto il soggetto, e Dakota Gorman non riescono a comporre un racconto unitario e cedono ai troppi luoghi comuni prelevati pedissequamente sia dal genere sentimentale che dall’horror, accontentandosi di spaventare per mezzo dei convenzionali espedienti iconici e soprattutto sonori, nella loro forma più sbiadita. La potenziale complessità psicologica e relazionale rimane totalmente inespressa, limitata anche dalla messa in scena e da interpretazioni fievoli.