Ai confini del male: recensione del film di Vincenzo Alfieri

Massimo Popolizio ed Edoardo Pesce sono due carabinieri dal passato ingombrante che inseguono il mostro rapitore. Ai confini del male, regia di Vincenzo Alfieri, dal 1 novembre 2021 su Sky e NOW.

Ai confini del male è il nuovo thriller Sky Original liberamente ispirato al romanzo “Il Confine” di Giorgio Glaviano (Marsilio Editore). Diretto da Vincenzo Alfieri e interpretato da Massimo Popolizio, Edoardo Pesce e Chiara Bassermann, il film sarà su Sky e NOW (disponibile anche on demand) a partire dal 1° novembre 2021. Prodotto da Fulvio e Federica Lucisano e Vision Distribution.
Il genere usato come passepartout per illuminare verità più o meno edificanti sulla vita in famiglia, il conflitto tra realtà e apparenza e quel tanto di male che c’è in ognuno di noi. La confezione stempera le caratteristiche autoctone dell’offerta per rendersi più appetibile ai mercati internazionali.

Ai confini del male: una vecchia storia, in cui tutti nascondono qualcosa

Ai confini del male cinematographe.it

Vincenzo Alfieri sostiene che tutto è stato già detto e già scritto, e che quello che conta è trovare un modo originale di raccontare la solita vecchia storia. Non è questa la sede per contestare o validare l’assunto, vale la pena però di tenerlo presente perché aiuta a capire meglio il film. Le domande giuste sono due: Ai confini del male è, brutalmente, materia (ab)usata? Riesce a trovare un taglio rinfrescante per aggiornare il suo discorso? Una risposta per volta.

Al primo interrogativo si risponde facilmente. In effetti, molto del materiale usato dal film per tirare su la sua impalcatura, sia in termini di premesse narrative, sia in termini di caratterizzazioni e psicologie, ha un passato. L’isolamento e il cortocircuito di ipocrisie e mezze verità di una comunità chiusa, extraurbana? Check. Tutori dell’ordine molto molto al limite? Check. Figura di donna compromessa da un passato burrascoso ma al tempo stesso carica di vitalità oltre che di una insopprimibile dignità? Check.

Un passo a due (più una). Meda (Edoardo Pesce) è il poster boy della categoria poliziotto problematico. Violento, moralmente più che ambiguo e del tutto incapace di controllarsi. Il film flirta con l’idea che l’uomo, che certo qualcosa da nascondere ce l’ha, come tutti del resto, sia peggiore di quel che è. Meda stringe uno stranissimo rapporto con un’ex prostituta, Chiara Bassermann. La donna trova le corde giuste per estorcere a Meda la promessa di ritrovare la figlia scomparsa. Scomparsa ma trascurata, perché ci sono i figli dei ricchi e quelli dei poveri e si sa come vanno queste cose. Sparita la giovane, insieme ad altri due ragazzi uno dei quali è il figlio di Rio (Massimo Popolizio). Pezzo grosso dei carabinieri che più di dieci anni prima aveva sbriciolato la sua carriera inseguendo, vanamente, il mostro assassino che sembra proprio riemerso dall’oblio catturando i tre giovani. Indagine, mistero, e un mucchio di colpi di scena, soprattutto sul finale.

Un film che non colora le sue idee di vera originalità, ma con interpreti eccellenti

Ai confini del male cinematographe.it

Il gioco di alchimie (fisiche, caratteriali) tra i due protagonisti è buona parte del film. Della fonte letteraria Ai confini del male prende molto ma una cosa la cambia, per ammissione stessa del suo regista, che sceneggia insieme a Fabrizio Bettelli e Giorgio Glaviano, ed è la posizione molto più centrale nella storia affidata a Massimo Popolizio e al suo carabiniere dai due volti. Rio e Meda sono due parti della medesima unità, contraddittoria e moralmente al limite. Prima si annusano, per un po’ si guardano in cagnesco. Poi una breccia nelle incomprensioni, una scintilla di complicità, sulla falsariga del modello True Detective che lo stesso Alfieri ha espressamente citato come riferimento pesantuccio. Il loro legame è questione di fisicità: nervosa e vibrante per Popolizio; massiccia, inquietante e non scevra di una punta di vulnerabilità per Pesce. Bene Chiara Bassermann, riesce a suggerire ambiguità e un senso della vita al limite ben al di là dello stereotipo.

Lo stereotipo, già. Si torna al secondo interrogativo. Il film indugia nello spazio ombroso che separa l’apparenza di una vita dalla sua vera sostanza, tira fuori il male che c’è dentro ognuno di noi, gioca un po’ al conflitto di classe e per tutto il tempo parla di padri e figli. Le idee ci sono, non particolarmente originali ma non è questo il problema. Quello che manca al film è la forza di una visione davvero dirompente, di rottura.

Ai confini del male gioca con gli specchi e le apparenze, deforma gli ambienti per raschiare via qualsiasi parvenza di familiarità. Il Lazio del film assomiglia poco al Lazio reale. Questo è un bene. Per il resto il film è veloce, dinamico, rumoroso. Ma anche, purtroppo, frenato dalla necessità di rendersi attraente per tutti. Annacquato e troppo conformista. Manca di originalità, e a tratti di interesse. Il finale costruisce un castello di carte di rivelzioni su rivelazioni, non sempre spiazzanti. Ai confini del male vive d’inerzia sulla qualità (ottima) dei suoi protagonisti ma, a conti fatti, assomiglia a cento altri esempi del genere.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.3