Alis: recensione del documentario di Clare Weiskopf e Nicolas van Hemelryck

Un documentario dal piglio quasi etnoantropologico, che non può lasciare indifferenti.

A circa un anno di distanza dalla sua uscita, Alis, il documentario di Clare Weiskopf e Nicolas van Hemelryck, approda alla trentesima edizione del festival Sguardi Altrove.

Alis SAFF2023 Cinematographe.it

Attraverso una serie di interviste alle giovani ospiti di una casa per ragazze di strada a Bogotà, l’Arcadia, il film offre uno straziante spaccato su desideri, sentimenti e storie di ragazzine cui è stata sottratta troppo presto l’infanzia. L’Alis del titolo è una ragazza immaginaria di cui le giovani parlano come se fosse un’amica e su cui proiettano le proprie vite e aspirazioni.

Alis: una casa di bambole (spezzate)

I due registi hanno vissuto per cinque anni nella comunità oggetto del documentario e così, attraverso un approccio tipico del cinema etnoantropologico, sono riusciti a farsi accettare dalle ragazze e a guadagnarne la fiducia. Questo ha permesso di condurre le interviste con una certa naturalezza e ha spinto le intervistate a raccontarsi senza filtri. O meglio, con l’unico filtro dell’immagine fantasmatica di Alis.

Alis SAFF2023 Cinematographe.it

Il cinema si pone dunque al servizio della narrazione orale, facendosi vettore di vite spezzate e sogni infranti, non per mezzo di una messa in scena sensazionalistica, ma, al contrario, tramite un minimalismo estremo che rasenta l’astrazione. Nel documentario di Weiskopf e van Hemelryck sono importanti le microespressioni del viso delle ragazze, la sequenza dei loro volti, il loro linguaggio corporeo e i loro silenzi. Gli autori infatti privilegiano un montaggio a stacchi netti sulle singole interviste, che crea una serie di ritratti ideali, in grado di succedersi l’un l’altro senza soluzione di continuità. La storia di ogni ragazza straborda in quella delle proprie compagne, all’interno di un processo di mutazione continua, in cui ogni soggettività è anche parte di un’identità collettiva più grande, quella di Alis. Alis stessa, involucro immaginario per vite fragili, è un correlativo finzionale per l’intera comunità dell’Arcadia. La struttura fisica del luogo è infatti inquadrata sempre con prospettive angolate, che ne sottolineano le geometrie rettangolari, a suggerire l’idea di una struttura-contenitore in grado di proteggere, custodire e nascondere le sue abitanti. Le protagoniste, quando sono riprese nelle loro attività quotidiane, per lo più vengono inserite in composizioni visive in cui porte, finestre, colonne di letti a castello o semplici porte da calcio vuote, fungono da cornici interne al quadro, atte anch’esse a delimitare i confini entro cui le giovani si possono muovere liberamente. Appare chiaro il tentativo degli autori di introdurre lo spettatore in una sorta di casa delle bambole moderna, che, proprio come nel dramma di Ibsen, rappresenta un vaso di Pandora contenente tutto l’orrore, ma anche l’amore, che la vita può offrire.

Gli occhi di Alis

Le interviste invece si avvalgono di inquadrature frontali che mettono al centro della scena i corpi e i volti delle giovani. Gli occhi sono rivolti alla macchina da presa, come per interpellare direttamente lo spettatore. Lo sguardo delle ragazze è uno sguardo diretto, innocente e triste, che contrasta con lo sguardo freddo e meccanico della registrazione digitale. Proprio in questo contrasto risiede tutta la forza di un film che non permette indifferenza, ma, prendendosi il suo tempo, costringe lo spettatore a uscire dal proprio ruolo di osservatore e lo spinge a farsi partecipe delle storie, spesso fatte di abusi e violenze, che i racconti delle ragazze evocano. Così che egli si trova, senza neanche rendersene conto, catapultato da una storia a un altra, da una vita a un’altra, aggrappato al filo conduttore del fantasma di Alis. Questo viaggio non si riduce però a un mero campionario di miserie umane, ma lentamente si trasforma in un percorso alla scoperta di persone complesse, la cui forza nell’affrontare la vita si configura come una ricerca di libertà. E infine diventa una sfida alla povertà da cui le giovani provengono, al sistema economico e politico colombiano, basato sulla produzione, la compravendita e il consumo della droga, agli stereotipi di genere e a una cultura patriarcale, maschilista e oppressiva.

Alis SAFF2023 Cinematographe.it

Senza retorica Alis traccia una parabola di dolore e redenzione, che guarda al futuro con la determinazione e l’ottimismo che può avere solo chi ha incontrato il lato peggiore della vita e nonostante tutto riesce ancora a guardarsi allo specchio e ad amare – proprio come le giovani abitanti dell’Arcadia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.4