Alive in France: recensione del documentario di Abel Ferrara
Alive in France è un documentario "on the stage" che ci mostra i retroscena musicali e non solo dell’artista Abel Ferrara. Al cinema dal 19 al 22 maggio.
Presentato a Cannes 2017 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, e prossimamente al cinema – dal 19 al 22 maggio con Mariposa Cinematografica – Alive in France è un tour live che si muove attraverso la Francia e nei meandri della creazione artistica dell’eccentrico e controverso regista italo-americano Abel Ferrara. Un on the road ma anche e soprattutto “on the stage” musicale e rockeggiante volto a scoprire tutti i retroscena musicali e non solo dell’artista a tutto tondo, autore di veri e propri cult come l’indimenticato Il cattivo tenente con Harvey Keitel (1992).
Siamo nel settembre 2016 e in Francia parte una retrospettiva di cinema e musica organizzata dalla Cinémathèque de Toulouse che sulla scia del motto Addiction at Work porta in giro per la Nazione le opere di Abel Ferrara, autore senza dubbio di spicco sulla tematica delle dipendenze, uomo nato nel Bronx e che d’altro canto ha sempre raccontato tramite la sua arte “Quando nasci nel Bronx sarai sempre del Bronx”. Su e giù dal palco, Abel Ferrara si racconta attraverso una dimensione intima e intimista fatta di musica e parole, circondato dai suoi amici di sempre, dai suoi storici musicisti (l’attore-cantante Paul Hipp e il compositore Joseph Delia, autore delle colonne sonore dei suoi film più importanti), e dalla sua giovanissima e bellissima moglie Cristina Chiriac con tanto di frugoletta bionda al seguito (la piccola Anna, figlia dei due).
In un tripudio di serate bagnate dalle soffuse luci rosse o blu dei neon così come in giro per le strade, Abel Ferrara parla, canta e suona la vita, risponde alle domande degli spettatori, confessa quel vizio e quelle dipendenze che fanno presto a diventare cuore pulsante e incubo esistenziale di un Bad Liutenant, e non solo. Ferrara parla di sé, della sua carriera, dei suoi vecchi film di gangster che ora non sono più nelle sue corde. Parla della volubile e cangiante New York, di Roma, di Napoli, e di tutte le tappe che sono state necessarie al suo percorso artistico perché quando si è artisti di strada, di fatto, “si filma la vita là dove ci si trova”.
Con Alive in France Abel Ferrara racconta se stesso, la vita e l’uomo, conciliando realtà e raccordi
Tra le parole, le movenze e la musicalità rock e schietta di un uomo oramai segaligno e ricurvo e che la vita sembra però averla attraversata sempre in pieno e con piena passionalità, si va così disegnando la bidimensionalità dell’artista che scrive musica per necessità (impossibilità con i budget risicati dei suoi film di pagare i diritti di pezzi celebri) e fa cinema per passione. Uomo che incarna la passionalità in maniera multiforme, anche attraverso le movenze sexy e sublimi della sua Cristina, una sorta di angelo-musa ispiratrice dal fisico scolpito e dallo sguardo ammaliante.
Alive in France mette quindi in scena la vita e l’uomo, in un documentario di 79 minuti che concilia realtà e proiezione tra ellissi e raccordi, filmando un tempo presente che congiunge il passato e il futuro di una delle voci artistiche più controverse del panorama americano. Un regista che ha saputo riversare il suo Bronx nella violenza urbana, e in quella suggestione onirica delle sue opere, in cui spesso si fa fatica a scindere il reale e il tangibile dall’ossessione e dalla dipendenza. La forma quindi lisergica di un fare arte che è profondamente legato a quello stato violento eppure estatico che contraddistingue la perenne instabilità dell’esser uomo “di vita”, ancor prima che artista di strada.