All my friends are dead: recensione del film Netflix
Al suo primo lungometraggio il regista e sceneggiatore polacco Jan Belcl dirige per Netflix una commedia dark su un capodanno finito in massacro. Tra morti accidentali, schizzi di sangue e visioni mistiche quello che rimane allo spettatore di All my friends are dead sono un epic fail e una noia mortale.
Nelle tante pagine dell’immaginario popolare cinematografico, il grande party studentesco s’inserisce tra quelle che da sempre contraddistinguono il cinema nordamericano. Se ovviamente il senso goliardico e spensierato della condivisione festaiola è incline alla gioventù senza barriere geografiche, è di certo nelle abitudini a stelle e strisce che la festa a casa imprime nel modello audiovisivo il suo marchio più emblematico. Organizzate più o meno clandestinamente, quando i genitori sono fuori nei weekend, tra musica ad alto volume dalle casse, bicchieri del punch, coppie che si appartano, chiacchiere negli angoli della casa, alcool e sesso (e per alcuni malcapitati un costante senso di disagio), le feste che vediamo da anni nei teen-drama nascono con il sano intento di divertirsi per poi, immancabilmente, finire per essere teatro di drammi, rivelazioni, danneggiamenti e violenze di vario grado. Parte proprio dall’idea di questa parabola discendente All my friends are dead, la nuova commedia dark diretta dal polacco Jan Belcl e disponibile dal 3 febbraio su Netflix. Ma più che di drammi, rivelazioni e violenza stavolta la grande festa di capodanno messa in piedi dal padrone di casa Marek finisce con la morte. La sua, quella del resto degli invitati e sfortunatamente anche quella del divertimento dello spettatore.
All my friends are dead: all’alba di un nuovo anno si aprono le porte ad un massacro giovanile davvero inspiegabile
È l’alba del primo gennaio e in uno chalet di montagna arrivano l’Ispettore Capo Kwasniewski (Adam Woronowicz) e il suo giovane partner d’indagini Dabrowski (Michal Meyer). I due agenti si trovano immediatamente davanti a un enorme massacro giovanile e a uno spargimento di sangue che ha dell’incredibile. Cadaveri riversi esanimi sul pavimento, un fattorino impiccato in bagno con un filo di luci al neon, un ragazzo a torso nudo disteso su un pianoforte, un altro ammanettato sul letto con addosso solo uno slip. “Un Epic Fail“ lo definisce Kwasniewski (lungimirante sulla riuscita del film); qualcosa è andato storto. Potrebbe essere l’inizio di un dramma sociale sulle conseguenze pericolose degli eccessi delle nuove generazioni, ma dalle primissime battute scambiate tra i due ben presto capiamo che quello che sta per iniziare ha in realtà tutti i toni di una commedia dallo humor nero e che, davanti allo spettatore, stanno per dispiegarsi le modalità che hanno portato a quell’orribile massacro.
All my friends are dead: tra prototipi di genere, sensazionalismo e una sconclusionata violenza fine a sé stessa
Con un flashback di poche ore prima, il regista e sceneggiatore ha da subito premura di presentare al suo pubblico tutta una serie di personaggi iper caratterizzati che fanno leva su maschere e prototipi già rodati nel genere. I nerd poco inclini al sociale, il casanova, la timida coppia d’innamorati in crisi e poco passionali, un ex- tossico tra tentazione e redenzione, la bionda milf e il toy boy, l’aspirante mistico diviso fra il peccato della carne e immaginari discorsi con figure di santi. Il capodanno sembra procedere, destreggiandosi tra sesso occasionale, bottiglie di alcool, musica e marijuana. Una degli invitati però, nello scoprire la chiave di una valigetta contente una pistola, avvia accidentalmente ad una serie di tragedie omicide che degenereranno in una sequela di violenze, baruffe, litigi, rivelazioni di legami parentali, schizzi di sangue sui quadri e macchie ematiche sul pavimento. La serata ha preso una piega inarrestabile (e con essa l’intero film) verso una degenerazione che lo spettatore difficilmente riesce a spiegarsi. Alternando gag comiche (le cadute dal tetto, il cadavere nell’armadio) e morti più o meno causali, il film convoglia a singhiozzi di sotto trame e personaggi mal legati da un filo comune verso una lunga sequenza finale in cui la violenza raggiunge il suo climax che vorrebbe sconvolgere ma che lascia basiti.
Slasher e cadaverizzazioni che giocano sul binomio sesso-violenza
Il film di Belcl ha tutta l’aria del B movie slasher/splatter poco riuscito, infarcito di sesso estremo che non ha nulla di erotico, donne in costante deshabillé inquadrate strizzando l’occhio ad un pubblico maschile medio, cadaverizzazioni pulp, dialoghi inermi nonostante la forte componente ironico-mistico-religiosa. Un esperimento asettico e eccessivo che non riesce davvero mai a spiccare il volo, che guarda al cinema di genere ma che sembra consapevole (troppo) delle sue (poche) capacità. All my friends are dead (Wszyscy moi przyjaciele nie zyja il titolo originale) purtroppo vola sempre troppo basso, arenandosi in una violenza ciclica che vorrebbe sfruttare al massimo il potenziale comico dell’horror e invece risulta inappagante e abbastanza grossolana. Un prodotto europeo puramente sensazionalista che poco ha a che vedere con altri cineasti polacchi che anche recentemente hanno regalato ottime sorprese (il Corpus Christi o The Hater di Jan Komasa o al documentario di Anna Zameka Komunia). E se il fine ultimo di Belcl è quello di dirci che infondo, solamente in un possibile aldilà possano coesistere sentimenti di amore, armonia e accettazione lo spettatore, – di certo meno pessimista e più magnanimo –, accetterà che il posto per questo film è esattamente su questa terra, assieme ad altre opere migliori. Nonostante tutto.