Alone (2020): recensione del film thriller di John Hyams
La storia di una caccia all'ultimo sangue, tra la protagonista e il suo persecutore. Tra il thriller e il survival movie.
Da non confondere con il film omonimo di Johnny Martin, uscito anch’esso nel 2020, Alone di John Hyams è un survival-thriller, andato in onda in anteprima italiana su Rai 4, nella serata del 25 aprile 2020.
Alone si riferisce alla protagonista Jessica (Jules Willcox), vedova da sei mesi, che decide di intraprendere un viaggio in solitaria a chilometri e chilometri da casa, per cominciare una nuova vita e lasciarsi alle spalle il doloroso passato. Chiaramente, visto il genere, nulla andrà secondo i piani. Sarà pesa di mira da un anonimo sconosciuto (Marc Menchaca) sin dai primi minuti del film e la persecuzione diventerà presto estremamente pericolosa, costringendo Jessica in una disperata corsa alla sopravvivenza. Pochi personaggi, tre location: la strada, la foresta e un’angusta cantina. Alone di John Hyams è un thriller angosciante scandito in capitoli che – come livelli di un videogame – alzano di volta in volta l’asticella della difficoltà.
La trama di Alone di John Hyams
Jessica guida la sua auto con rimorchio in una strada non ben collocata nei dintorni di San Francisco. Man mano che si inoltra nel nulla, si accorge di un suv che la segue con una certa insistenza. Addirittura, l’incalzare della macchina la porta quasi a un frontale con un camion. Alla stazione di servizio successiva l’autista – un uomo di mezz’età dall’aspetto abbastanza creepy – si avvicina a Jessica per scusarsi. La donna accetta le scuse e continua il suo viaggio, ma il suo stalker è ancora là, dietro di lei, con un’insistenza e un’aggressività sempre più inquietanti. Messa alle strette da una gomma tagliata (non casualmente), Jessica si troverà di notte, da sola, in una strada extraurbana. Indovinate chi si palesa dopo pochi minuti?
Con una colluttazione, lo sconosciuto mette KO Jessica e la trascina in una cantina di una cascina isolata nella foresta. Qui la ragazza apprende sempre più dettagli della doppia vita del suo aggressore e – consapevole che le restano ben poche ore – elabora una strategia di sopravvivenza. Alone è, di fatto, un inseguimento dall’inizio alla fine, che si conclude nell’unica maniera possibile: la morte di uno dei due personaggi.
Le atmosfere e il conflitto uomo-natura
John Hyams, regista di action di non molto successo, utilizza la sensazione di impotenza e di isolamento della protagonista per dare al film un’auspicata efficacia. In effetti, l’atmosfera data da una fotografia buia – quando occorre – e da inquadrature panoramiche – quando serve – riesce abbastanza a rendere l’idea di una persona in balia dell’ambiente. Là dove il villain è chiaro ed evidente, e ha il volto di Menchaca, le location concorrono a peggiorare la già critica situazione della protagonista. Si parte con la sensazione comune, che molti spettatori avranno provato, di tensione derivata dal guidare da soli fuori città, di notte, alla mercé dell’imprevisto, per arrivare alla situazione-limite del survival movie.
Questo genere, reso noto da film più importanti come Cast Away o 127 hours, punta tutto sull’oggettiva inferiorità dell’essere umano nei confronti della natura selvaggia e sulle risorse inattese che si attivano pur di evitare la morte. Nel caso di Alone questo meccanismo si innesca in alcuni momenti-chiave, e ha una componente fondamentale nella crescita della protagonista. Da inerme ragazza di città, Jessica diventerà un’implacabile forza della natura, attivando a un’energia ferina in rapidissima (anche troppo) evoluzione.
Le debolezze di Alone
Dalla sua Alone ha il merito di tenersi sul semplice, giocando per tutto il tempo su un meccanismo analogo che si complica di minuto in minuto, restando tuttavia abbastanza simile a se stesso: la caccia del gatto col topo. Il risultato, però, non è né memorabile né imprescindibile. Si rivela, anzi, un film che poco aggiunge al bagaglio dello spettatore. I dialoghi, già rarefatti, non hanno una vera personalità, e non riescono a far affezionare il pubblico ai protagonisti. E questa è una mancanza non di poco conto dal momento in cui questo genere di film si basa principalmente su quanto si riesce a coinvolgere lo spettatore, nel “tifare” per la sopravvivenza e vittoria di questo o di quel personaggio. Il film, dunque, difetta nella scrittura e non riesce a convincere né per quello che i personaggi dicono né per quello che i personaggi fanno. Se nel primo caso, come si è detto, le loro parole risultano poco accattivanti, nel secondo si perde il piacere del colpo di scena, dato il conseguirsi abbastanza prevedibile degli eventi.
Insomma, probabilmente Hyams ha perso l’occasione di usare una materia già ben nota al pubblico per realizzare qualcosa di realmente nuovo. Ed per questo che Alone risulta essere un film dimenticabile, adatto a una visione passiva e annoiata, la domenica sera, in televisione.