Venezia 75 – Quel giorno d’estate: recensione del film con Vincent Lacoste
Un film che tratta temi difficili come il superamento del lutto e il terrorismo, con un tono leggero ma mai superficiale.
Quel giorno d’estate (Amanda) è un film del 2018 scritto e diretto da Mikhaël Hers e presentato nella sezione Orizzonti della 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. I protagonisti del film sono Vincent Lacoste, Isaure Multrier, Stacy Martin e Ophélia Kolb, che danno vita a un ritratto intimo e toccante della Francia ai tempi del terrorismo, in bilico fra insicurezza e necessità di ricominciare una vita normale.
David (Vincent Lacoste) è un ragazzo che vive a Parigi, sbarcando il lunario con piccoli lavoretti e schivando le responsabilità del mondo degli adulti. L’unico contatto familiare è rappresentato dalla sorella e madre single Sandrine (Ophélia Kolb) e dalla nipotina Amanda (Isaure Multrier), nei confronti della quale David dimostra tutta la sua immaturità, fallendo anche le più piccole mansioni che gli vengono assegnate e rivelandosi ben lontano dal profilo di zio modello. Proprio nel momento in cui la vita di David sembra sul punto di subire un’importante svolta sentimentale con l’incontro di Léna (Stacy Martin), la vita del ragazzo e di Amanda viene drammaticamente scombussolata dalla tragica morte di Sandrine, che rimane coinvolta in un attentato terroristico. Zio e nipote si trovano così a far fronte insieme al lutto e alle rispettive inadeguatezze, camminando fianco a fianco verso un futuro incerto.
Quel giorno d’estate: fra superamento del lutto e resistenza al terrore
Con un tono leggero ma mai superficiale, tenero ma mai smielato, Quel giorno d’estate si confronta con due temi particolarmente difficili come il superamento del lutto e l’atroce convivenza con il terrorismo e con le sue stragi. Un terreno particolarmente insidioso, su cui Mikhaël Hers riesce a costruire un racconto dal tocco lieve e malinconico, basato sul rapporto in divenire fra l’irresistibile Amanda della giovane promessa Isaure Multrier e la sua controparte adulta, ovvero David, che pur faticando a essere responsabile di se stesso si trova a dover accudire una bambina rimasta improvvisamente senza genitori. Il film di Hers gioca così sui contrasti fra lutto e speranza, fra inefficacia e lenta ricostruzione, puntando su atmosfere lievi e sospese nel tempo per rendere il progressivo avvicinamento fra due anime segnate indelebilmente dalla tragedia.
Fra una passeggiata all’aria aperta, un esaltante scorcio di Parigi e una giornata al parco, suggestivamente fotografati da Sébastien Buchmann, David e Amanda riscoprono lentamente il gusto delle piccole cose e il respiro del mondo che li circonda, trovando così un piccolo sentiero verso la perduta felicità. Non è difficile leggere in questo toccante percorso umano una metafora della situazione sociale ed emotiva della Francia e più in generale di tutta l’Europa, che si trova a dover faticosamente ricostruire una propria stabilità sopra al dolore e a cercare una propria personale strada per elaborare il lutto e la sensazione di insicurezza. Peccato però che questo parallelismo venga portato avanti senza un reale climax emotivo e con uno stato di perenne sospensione nel tempo e nello spazio che impedisce a Quel giorno d’estate di spiccare definitivamente il volo.
Quel giorno d’estate: un film armoniosamente incompiuto
Le atmosfere dolcemente malinconiche prendono così il sopravvento sul racconto vero e proprio, disegnando una parabola un’intima parabola umana, che a volte fatica troppo a diffondere il suo messaggio d’incrollabile speranza davanti alle difficoltà. Quel giorno d’estate diventa così un film armoniosamente incompiuto, in cui la componente emotiva e le convincenti prove da parte degli interpreti e dello stesso Mikhaël Hers vengono limitate da uno sviluppo drammaturgico troppo fragile, che spara le sue migliori cartucce nella fase iniziale, limitandosi poi a portare avanti la propria riflessione con coerenza ma scarso impatto emozionale.