Amare Amaro: recensione del film di Julien Paolini
Recensione di Amare Amaro del 2019, l'opera prima di Julien Paolini con Celeste Casciaro, Tony Sperandeo, Syrus Shahidi e Virginia Perroni.
Amare Amaro (noto anche con il titolo italiano Amare la terra amara) è un lungometraggio del 2019, l’opera prima di Julien Paolini, affiancato da Samy Baaroun alla sceneggiatura, presentato in anteprima al Taormina Film Festival.
Si tratta di una piccola produzione francese e italiana che rivisita la tragedia di Antigone in chiave moderna. Il cast è costituito dal veterano Tony Sperandeo (David di Donatello per I cento passi nel 2001), Celeste Casciaro (In grazia di Dio, La vita comune), Syrus Shahidi (24 jours, Blockbuster) e Virginia Perroni.
Amare Amaro: la trama
Un piccolo e tranquillo paesino siciliano è scosso da un episodio di violenza in cui Giosuè, noto per la sua indole non proprio tranquilla, rimane ucciso in situazioni controverse dopo aver sfondato la vetrina di un bar e aver causato la morte di altre due persone.
Gaetano (Shahidi), fratello di Giosuè, è il fornaio del paese, che riesce ad andare a malapena d’accordo con i compaesani, nonostante la diffidenza diffusa nei confronti della sua famiglia, vista come outsider per le origini metà siciliane e metà francesi. Pur consapevole delle colpe di cui si è macchiato il fratello, Gaetano ne reclama il corpo per dargli giusta sepoltura, trovando però un muro nelle autorità della comunità, rappresentate dal sindaco/padrone del villaggio Enza (Casciaro) e dal suo braccio destro Marcello (Sperandeo), il maresciallo dei carabinieri.
Con l’aiuto di Anna (Perroni), sua fidanzata e figlia di Enza, Gaetano decide di sfidare l’ordine cittadino per riprendersi il corpo del fratello e seppellirlo nel cimitero del paesino, vicino alla madre.
Un film dai due volti
Amare Amaro è, di base, un film intellettuale, vuoi per la scelta di rivisitare un’importante tragedia di Sofocle, ma anche per la scelta di concentrarsi su delle delicatissime tematiche sociali legate alla stretta attualità, impreziosite dalla vicinanza personale dell’autore. Partiamo da queste ultime.
Il regista Julien Paolini decide di innestare la sua stessa dualità franco-italiana per raccontare il suo protagonista nella vita familiare (il rapporto con il padre e quello, duplice, con il fratello: disconosciuto in vita, ma rivalorizzato nella morte); nel rapporto con il vicino (sospettoso e superficiale nei confronti del diverso) e, allargando il campo, di riconoscimento della dignità umana (dove gli viene in aiuto maggiormente la tragedia di Antigone). Gaetano è un personaggio che, nelle intenzioni del suo autore, parla con i fatti, quindi una lingua universale, mettendo da parte la sua frustrazione ed il suo odio nei confronti del resto della comunità, per far spazio solamente a dei gesti legati all’affermazione legittima della dignità sua e della sua famiglia. I suoi opposti non sono tanto il maresciallo e donna Enza, vicini a lui per profondità ed isolamento sociale, ma sono i volti degli abitanti del paesino, giudici miopi, ma inesorabili, la cui ottusa legge condannerà le vite dei protagonisti. La Sicilia diventa il posto ideale per mettere in scena una storia con delle simili tematiche, rappresentando la comunità più mista del nostro Paese e dunque con i contrasti e le ambivalenze più forti e riconoscibili.
L’altra faccia della medaglia riguarda però la messa in scena. Qui saltano fuori i mille difetti di Amare amaro, ottimo e ricco nel sottopelle, ma veramente mediocre nel risultato su schermo.
Oltre un’evidente carenza dal punto di vista strettamente recitativo (di certo non aiutata dalla scelta di introdurre anche il francese come lingua del film), soprattutto nei protagonisti, è la regia a mortificare i personaggi e la storia. Essa appare infatti dozzinale, a metà tra il teatrale e l’amatoriale, senza avere mai un vero taglio cinematografico e rendendo così tutto poco concreto, poco fluido e al contrario molto finto. La fotografia, tolta qualche inquadratura, non aiuta la regia, anche se ne è superiore per la maggior parte del minutaggio. Infine la sceneggiatura non brilla certo per incisività e naturalezza, soprattutto nei dialoghi, ma in questo la recitazione la rende quasi ingiudicabile, data la mediocrità con la quale viene portata in scena.
Dunque, come tante opere prime, Amare amaro risulta incompiuto, immaturo, ma molto voglioso, molto “pieno” di sentimenti, studi, ricerche e sudore. Purtroppo, nonostante questo, un film rimane un film e, come tale, possiede un suo proprio linguaggio, che deve essere impiegato per potersi esprimere. Quando questo viene fatto così male, anche tutto il resto ne risente. Amare Amaro ne è l’esempio.