Roma FF17 – Amate Sponde: recensione del particolare documentario sull’Italia
Il presente geografico e ambientale della nazione italiana raccontato in un ambizioso documentario sperimentale, esclusivamente attraverso musica e immagini.
Il panorama cinematografico italiano è fatto da una lunga storia di documentari impegnati a raccontare eventi, soprattutto drammatici, della nostra storia. Amate Sponde di Egidio Eronico, invece, cerca di raccontare la bellezza della nostra nazione attraverso immagini spettacolari e vividi dettagli. Viene presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022 nella sezione Freestyle.
Raccontare l’Italia senza usare le parole
Fellini sosteneva che l’Italia non si raccontasse mai attraverso il cinema, a differenza dell’America. Da questo concetto parte l’idea segreta di Amate Sponde: non solo un desiderio artistico, ma una necessità di raccontare l’Italia e il suo senso più profondo attraverso un documentario che possa servire come testimonianza autentica e duratura. Il cinema italiano ha sicuramente raccontato tante “situazioni italiane”, ma non ha mai composto un mosaico che inglobasse così tanto della nazione – anche il suo aspetto estetico – in modo non-narrativo.
La natura meditativa di questo progetto – composto esclusivamente da musica e immagini – rappresenta contemporaneamente il suo spirito e il suo compito. Da un lato, una cinepresa ci porta in giro per lo stivale, catturando paesaggi, dettagli e, in un certo senso, cultura; dall’altro è un lungo invito alla contemplazione e alla riflessione.
Una nazione piena di bellezze e contraddizioni
Nonostante la bella colonna sonora sia una parte fondamentale del racconto – impostando il tono, l’atmosfera e lo stato d’animo delle sequenze – ciò che davvero colpise di Amate Sponde è l’efficacia con cui le immagini vengono proposte. In un progetto del genere, utilizzare una grande varietà di metodi tecnici e registici è il minimo per mantenere elevata l’attenzione dello spettatore; coordinare le inquadrature in modo che abbiano ritmo sequenziale è ancora più importante. Lo storytelling, infatti, è fondamentale in ogni documentario, anche se sperimentale come questo.
Il film di Egidio Eronico scorre come una poesia: è fatto di immagini – e sequenze – che si susseguono per generare vere e proprie figure retoriche visive. In questo va lodato anche il lavoro di montaggio e il presumibilmente mastodontico compito di fotografia di Sara Purgatorio. Immagini panoramiche naturalistiche si alternano a contesti urbani, passando per opere architettoniche e esseri umani che vivono la loro vita, senza tralasciare le ferite che sono state lasciate sulla nostra nazione.
La musica di Vittorio Cosma spazia tra ambient pieno di pianoforte, elettronica soft e componimenti orchestrali per i momenti più epici. Senza strafare, la colonna sonora si pone come tappeto e metronomo; non prende mai il sopravvento, com’è giusto che sia, lasciando che il lato visivo la faccia da padrone.
Amate Sponde, un’esperienza immersiva per lo spettatore
Non esiste un punto di vista in questo film; il regista stesso si pone come un osservatore imparziale, quasi quanto il pubblico che guarda il suo lavoro. La riflessione da parte dello spettatore è fondamentale per riempire gli spazi indicati dal documentario – spazi accennati e facilmente intuibili, mai forzati – e immergersi completamente all’interno del viaggio. Proprio come una poesia, l’immaginazione è parte integrante del prodotto; siamo davanti a una serie infinita di fotografie che suscitano una larga palette di emozioni in breve tempo.
Amate Sponde è un documentario probabilmente pensato come un’opera da museo più che un prodotto per il grande pubblico: un film fatto da sole immagini e musica non è certamente di facile diffusione. Siamo davanti a un Koyaanisqatsi italiano (l’influenza dello storico lavoro di Godfrey Reggio è evidente); qualcosa del genere non solo mancava nel nostro panorama, ma è assolutamente apprezzato. Chissà come sarà vederlo tra cinquant’anni.