RomaFF13 – American Animals: recensione del film di Bart Layton
American Animals è caratterizzato da una molteplicità di punti di vista, ottima regia e impeccabili prove attoriali (per non parlare della soundtrack!) ma nonostante ciò non riesce a sedersi sulle spalle dei giganti.
American Animals è un film del 2018 scritto e diretto da Bart Layton (al suo primo film di finzione dopo diverse fortunate esperienze nel documentario) e basato sulla reale rapina alla Transylvania University di Lexington del 2004, perpetrata da Warren Lipka, Spencer Reinhard, Chas Allen, Eric Borsuk, che compaiono nella pellicola nel ruolo di loro stessi. A dare corpo e volto agli aspiranti criminali sono invece Evan Peters, Blake Jenner, Barry Keoghan e Jared Abrahamson. Dopo la presentazione al Sundance Film Festival e l’arrivo nelle sale statunitensi, American Animals è stato inserito nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma e sarà distribuito in Italia da Teodora Film.
Spencer (Barry Keoghan) e Warren (Evan Peters) sono due studenti della Transylvania University di Lexington, pronti a tutto per imprimere una svolta alle loro monotone vite. Spinti dallo scarso livello di sicurezza, i due decidono di tentare il furto di alcuni libri antichi e particolarmente rari custoditi dall’università, e reclutano per la missione altri due compagni, ovvero il contabile Eric (Jared Abrahamson) e lo sportivo Chas (Blake Jenner). L’improvvisata banda comincia così a studiare i dettagli del colpo, senza però fare i conti con i numerosi imprevisti che la attendono…
American Animals: colpo grosso all’Università
Con American Animals, Bart Layton si prefigge il difficile intento di creare qualcosa di nuovo all’interno del sottogenere dell’heist movie, miscelando il classico meccanismo di pianificazione e attuazione del colpo con i toni della commedia e con un taglio a tratti quasi documentaristico, sottolineato dalla presenza in scena dei 4 veri autori della rapina, che si alternano ai rispettivi interpreti offrendo il loro punto di vista sui fatti. Nonostante qualche passaggio a vuoto, soprattutto nella prima parte, il risultato è un film godibile e intenso, che riesce non soltanto a intrattenere lo spettatore, ma anche a dipingere un inquietante ritratto della giovane borghesia americana, sempre più propensa all’auto esaltazione, anche a costo di andare oltre ai limiti della legge.
La scelta di intervallare continuamente il racconto con le testimonianze dei protagonisti da un lato allontana emotivamente lo spettatore da una fase potenzialmente scoppiettante come quella della preparazione del colpo, ma d’altro canto si rivela efficace dal punto di vista dell’introspezione, consentendo al regista di delineare un quadro complesso e ricco di sfaccettature dei personaggi coinvolti. Ciò che fa maggiormente riflettere in American Animals è proprio la molteplicità dei punti di vista, che frammenta il racconto in false piste, ipotesi alternative e particolari miscele di realtà e fantasia, facendoci però avvicinare alla contorta mentalità dei protagonisti, in bilico fra l’agiatezza della propria posizione e l’insopprimibile desiderio di uscire dalla loro routine quotidiana e vivere un’esperienza realmente fuori dall’ordinario.
American Animals: fra Darwin e cultura pop
Bart Layton gioca col genere e con i suoi punti di riferimento, condendo il racconto con continui riferimenti cinefili (da Rapina a mano armata a Ocean’s Eleven, passando per Le iene e il suo celeberrimo gioco dei nomi), peraltro utilizzati dagli stessi reali rapinatori come ispirazione per il loro colpo, e sfruttando il montaggio serrato come strumento narrativo, insieme al continuo batti e ribatti fra personaggi veri e fittizi e all’efficace riproposizione di determinati snodi narrativi. Pur con intenti nobili e riferimenti decisamente alti, American Animals non riesce però mai a spiccare definitivamente il volo, fermandosi a un primo, semplice, livello di lettura e non traendo il meglio dalle continue strizzate d’occhio a L’origine delle specie di Darwin e The Birds of America di John James Audubon.
A conti fatti, rimangono infatti ben più impresse le citazioni alla cultura pop (da Matrix a Lo squalo, passando per l’omaggio a una celeberrima inquadratura de Il cavaliere oscuro) che il traballante tentativo di creare un parallelismo le opere sopra citate e il percorso dei protagonisti, alla ricerca di una vera e propria esperienza di vita e di una “evoluzione” della loro condizione. La solida regia di Layton, le convincenti performance dei personaggi veri e fittizi e un’intrigante colonna sonora che spazia da Elvis (A Little Less Conversation, altro omaggio a Ocean’s Eleven) a Leonard Cohen, passando per i Doors, permettono ad American Animals di non perdere mai la direzione e di rimanere costantemente una visione coinvolgente e appagante per lo spettatore.
American Animals: un promettente esordio nel cinema di finzione per Brad Layton
In definitiva, American Animals non riesce a sedersi sulle spalle dei giganti e a elevarsi allo stesso livello di Soderbergh e degli altri dotti riferimenti, rimanendo bloccato in una via di mezzo che da una parte lo eleva rispetto ad altri recenti heist movie, ma dall’altra gli impedisce di lasciare un tangibile segno del proprio passaggio. Rimane comunque la curiosità di vedere nuovamente all’opera Bart Layton, che con questo film dimostra nuovamente, dopo L’impostore, di sapersi muovere adeguatamente sul sottile confine fra realtà e finzione, rivelando inoltre una marcata vis comica e una non comune dote nell’attraversamento e rielaborazione dei generi.