Amore, cucina e curry: recensione
Se Amore, cucina e curry fosse un cibo sarebbe di certo un riccio di mare da mangiare con le dita. Perché? Perché i ricci di mare sanno di vita, vita cruda e meravigliosa. Esattamente tale è la pellicola firmata Lasse Hallstrom, coprodotta da Steven Spielberg e tratta dal romanzo di Richard C. Morais. Chiaramente non perfetta, ma certamente capace di afferrarci fin da subito, catapultandoci nel caos festoso di un mercato indiano e poi ancora in una cucina in cui madre e figlio si scambiano la vita, prima che il ristorante sia dato alle fiamme. Dopo la perdita della madre e l’infestare dei disordini, la famiglia Kadam è costretta a fuggire dall’India e quando noi spettatori li rincontriamo stanno tra i vetri di una dogana a dare spiegazioni circa il loro ingresso in Francia. Il motivo per il quale lasciano l’Inghilterra? Semplice: le verdure lì non hanno un’anima! E pare invece che i pomodori di Saint- Antonin- Noble-Val ce l’abbiano.
In questo bucolico paesino del sud della Francia il risoluto capofamiglia Papa – interpretato da Om Puri – vuole rimanere a tutti i costi. Non sarà certo Madame Mallory (Helen Mirren) col suo ristorante stellato, posizionato proprio davanti alla neonata Maison Mumbai, a farlo andare via. Tra liti, sotterfugi e battibecchi il profilo di Hassan Kadam (Manish Dayal) si delinea perfettamente: giovane, geniale, cortese e volenteroso, riuscirà pian piano ad allentare le tensioni e a mettere a tacere il rancore e la concorrenza, fino a far compenetrare la raffinatezza francese col vulcanico bon ton indiano. Tante cose sono lasciate al caso, così come sono tanti i riferimenti al mondo gastronomico istituzionalizzato, dalla citazione delle stelle Michelin, alle riviste famose.
Il fil rouge della pellicola inizia con una cucitura sottile che fa rima con cibo biologico e tradizionale, appreso dalla madre nel caso di Hassan, studiato ed eseguito nel caso di Marguerite (Charlotte Le Bon), e che aspira sia nell’uno che nell’altro caso ad essere elogiato all’interno di quel teatro dell’haute cuisine. Non è poi così elaborato saper cucinare, basta farlo col cuore, trovare dentro di sé tutte le essenze e poi portarle in vita, come se fossero dei fantasmi. Perché a questo servono i piatti: a ricordare, a far emergere dal profondo della memoria quegli attimi incastonati nel tempo e che altrimenti non riuscirebbero a tornare. E Hassan tiene da parte le spezie della madre come se fossero amuleti e non dimentica mai da dove proviene, neanche quando va ad apprendere i segreti della cucina francese presso il ristorante stellato di Madame Mallory (fregiandolo della seconda stella Michelin) e neanche quando si trova a Parigi, in uno dei luoghi più agognati, in cui il cibo viene classificato come una scienza, sminuito nella sostanza e imbellettato nella forma.
Amore, cucina e curry: il colore caldo di un abbraccio tra culture e il sapore di un riccio di mare
che si scioglie in bocca
Ma davanti a un riccio di mare stravolto dalla chimica culinaria il mondo si ferma e gli si deforma la vita. Quel piccolo paesino francese fatto di boschi e mercati adesso è casa poiché lì ha lasciato il suo cuore, la sua famiglia e le cucine che l’hanno lanciato nel mondo. La parola d’ordine allora è tornare e conquistare insieme all’amata Marguerite la terza stella, cucinando nel ristorante di Madame Mallory ma cenando presso la Maison Mumbai.
Con una regia sapiente, contornata da musiche accattivanti e colori sgargianti, la storia di Amore, cucina e curry sa coccolare, istruire e allietare, scrivendo la parola ‘fine’ con un ago al profumo di leggerezza, tradizione e innovazione.